About this ebook
Lei è la sua prigioniera.
Lui è il suo rapitore.
La loro relazione è un volatile tira e molla.
Lui fa la parte del cattivo e lei quella della vittima; ognuno interpreta il proprio ruolo alla perfezione. Una seppellisce il passato per dimenticare, l'altro combatte per ricordarle come hanno cominciato.
Lei cerca disperatamente di fuggire.
Lui cerca disperatamente di trattenerla.
Una cosa è chiara:
Soltanto uno rimarrà in piedi, alla fine.
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Book preview
Prigioniera - R.J. Lewis
Parte Prima
Il Mezzo
1
Vixen
Il letto sprofondò, e un corpo caldo e duro premette contro la mia schiena. Sentii la sua mano calda scorrermi lungo il fianco e infilarsi sotto la mia camicia da notte di seta. Con il pollice, tracciò l’orlo delle mie mutandine.
Piccola
sussurrò a bassa voce. Mi sei mancata.
Serrai gli occhi più forte, pregando che avrebbe desistito, se avesse pensato che non mi sarei svegliata. Era un pensiero sciocco, ma continuavo ad aspettare il giorno in cui lui avrebbe perso interesse per me, lasciandomi sola sul letto.
Non smise di toccarmi. Tracciò l’orlo delle mie mutandine per diversi secondi. Lo sentivo incombere sopra di me, intento a guardare il profilo del mio viso. Sempre intento a guardarmi. Sempre intento a valutare la mia reazione. Cercai di fare finta di niente, lasciandogli credere di essere ancora addormentata. Forse, magari, mi avrebbe lasciata in pace.
Poi, però, il suo dito si insinuò sotto l’orlo delle mie mutandine e io lo percepii sul mio intimo, mentre roteava il pollice sopra il mio bocciolo di nervi, innescando magistralmente in me una scintilla di piacere. Il mio corpo mi tradì, quando le mie cosce si strinsero intorno alla sua mano, implorando qualcosa di più.
Lui rise dal profondo del petto.
La messinscena era finita.
Sapeva che ero sveglia.
Lo odiavo.
Lo odiavo.
Lo odiavo.
Eppure, al suo tocco, le mie cosce si divaricarono e i miei fianchi si sollevarono, al ritmo del piacere che lui mi stava estorcendo. Mi morsi il labbro inferiore, rifiutandomi di gemere, rifiutandomi di fargli sapere quanto la sensazione fosse bella.
Il piacere faceva quell’effetto. Ti incasinava la testa, dannazione. Nell’istante in cui eri sotto l’incantesimo del piacere, non importava chi fosse a procurartelo. Importava soltanto essere scopata fino all’orgasmo.
E Nixon…
Nixon conosceva ogni centimetro del mio corpo.
Sapeva che cosa mi innescava,
che cosa mi faceva gridare,
che cosa mi faceva supplicare.
Mi manipolava come un burattino.
E io lo odiavo.
Lo odiavo.
Oh, Dio!
Un gemito mi sfuggì di bocca.
Ah, eccola qui
mi mormorò all’orecchio, mordicchiandomi il lobo, mentre faceva roteare quel pollice sul mio clitoride. Ti sono mancato, Vix?
Non risposi, ma aprii gli occhi. La stanza era ancora buia, e a me non importava che ci fosse una pistola sul comodino, con l’estremità puntata nella nostra direzione. Lui era sempre così negligente con le armi. Sembrava che avesse buttato giù la sua roba il più velocemente possibile, solo per poter scivolare nel letto insieme a me.
Mi infilò dentro l’indice, e io trattenni il fiato. Oh, Dio! Mi massaggiò, mentre muoveva lentamente il dito dentro e fuori di me, ma non era abbastanza. Non era mai abbastanza.
Penso di esserti mancato
continuò, divertito.
Strusciai i fianchi, persa nella sensazione, dicendo a denti stretti: No, invece.
Ridacchiò. Credo che tu sia mentendo. Il tuo corpo mi comunica una cosa diversa, piccola.
No.
Sì. Ascoltalo. Sei bagnata fradicia, si sente il rumore della mia mano che ti tocca.
E aveva ragione. I rumori acquosi dei suoi movimenti riempivano la stanza, e lui tacque apposta per rimarcare il concetto.
Digrignai i denti, irritata, perché era così dannatamente presuntuoso e aveva ragione. "Non sono bagnata per te, Nixon."
Ah no?
mi chiese con leggerezza. Per chi, allora?
Potrebbe essere chiunque.
Continuavo ad aspettare il giorno in cui queste parole lo avrebbero fatto incazzare. Cercavo in tutti i modi di fargli capire quanto lui fosse insignificante per me, quanto poco i suoi tocchi mi influenzassero.
Ma Nixon scoppiò a ridere e incassò senza fare una piega.
Se ne fregava. Perché il mio corpo gli comunicava il contrario, e quella era l’unica cosa che contava per lui.
Tolse la mano e mi fece girare sulla schiena. Sorreggendosi su un gomito, mi osservò al buio con il più presuntuoso dei sorrisi. Lo guardai in faccia, infastidita da quanto fosse bello. I capelli scuri gli ricadevano di qualche centimetro sopra la fronte; le guance erano ricoperte da una barba corta, che però non nascondeva quanto fosse cesellata la sua mascella, né quanto fossero alti i suoi zigomi. Le labbra erano morbide e carnose, anche se, al momento, il labbro inferiore presentava un taglio.
Un’altra rissa.
Un altro pugno in faccia.
Se lo meritava. Ero sicura che avesse provocato chiunque lo aveva colpito, così com’ero sicura che il suo avversario fosse ridotto decisamente peggio.
Mentre fissavo il suo volto, lui faceva altrettanto. Aveva sempre quell’espressione di assoluta riverenza, quando mi guardava, e il suo sorriso diventava perverso.
Io ero il suo giocattolo.
Ancora fresco e nuovo.
Non ancora rotto.
Secondo te
si domandò con tono scherzoso, se ti succhiassi la fica, non grideresti il mio nome?
Il cuore mi martellò forte nel petto. Non ero mai immune ai suoi discorsi sconci. Alle sue scopate sconce. Alla sua bocca sconcia e tagliata.
Lo fulminai per la sua arroganza, ma ressi il gioco, fingendo uno sbadiglio. Penso che potrebbe trattarsi della bocca di chiunque sulla mia fica.
Ruggì dal profondo della gola, mentre uno sguardo oscuro attraversava la sua espressione. Dannazione, piccola, quando parli così, devo mettercela tutta per non spaccarti la fica in due col mio cazzo.
Il mio corpo avvampò. Mi sentii arrossire le guance, mentre fremevo per l’aspettativa. Potevo lasciare che mi scopasse, che giocasse con me, che me la succhiasse fino all’orgasmo: non significava che m’importasse di quel bastardo. Significava soltanto che non ero una vittima in tutto questo casino, e la cosa mi piaceva. Mi piaceva il fatto di non avergli permesso di rovinarmi molto tempo prima, quando mi aveva scopata per la prima volta, mentre piangevo tra le sue braccia, implorandolo di non uccidermi.
Non gli avevo detto di fermarsi, allora.
Non gli avrei detto di fermarsi, ora.
Non era così che sarebbe andata.
Non mi sarei liberata facendo la vittima.
Certe volte, credevo con tutto il cuore che avrei trovato una via d’uscita da quella prigione.
Altre volte, invece, avevo la sensazione che ci sarei morta dentro.
E poi c’erano dei momenti (come adesso) in cui l’unica cosa di cui m’importava era avere il suo cazzo piantato dentro di me. Spesso dimenticavo chi ero, dove mi trovavo, chi era lui.
Ho accennato al fatto che sapeva scopare per ore?
Dimenticare per ore era una beatitudine.
Non griderò il tuo nome
gli dissi con aria di sfida.
I suoi occhi si animarono e le sue labbra si contorsero in un sorrisino sexy. Nixon adorava le sfide. Mi sollevò la camicia da notte fin sopra la testa e poi mi tirò giù le mutandine. Fissai il soffitto, fingendo che niente di tutto ciò avesse importanza. Ma il cuore mi batteva forte nel petto e ogni centimetro di me vibrava di energia. Il suo corpo grande si spostò più giù sul letto. Mi divaricò le gambe e mi baciò lungo l’interno coscia. Deglutii forte, consapevole che non potesse vedermi, ora che era sepolto tra le mie gambe. I miei occhi si velarono e la mia bocca si socchiuse, facendo entrare e uscire dei respiri lievissimi, man mano che lui si lasciava dietro dei formicolii ad ogni bacio.
Mi soffiò aliti caldi sulla fica, prendendo tempo. Stavo quasi per ringhiargli di leccarmela e basta, ma seguii il solito iter e scelsi di stringere i denti, anziché implorare.
Quando sentii la sua lingua scorrere lungo la mia fessura, il mio corpo sussultò come se fossi stata colpita da un fulmine. Percepii la sua risata vibrare su di me, ma non m’importava, ormai. Gemetti ai guizzi della sua lingua, alle leccate leggere e stuzzicanti sul mio clitoride.
Pronuncia il mio nome, Vix
pretese, succhiandomi.
Scossi la testa, con le lacrime agli occhi. No.
Succhiò più forte, esercitando la pressione perfetta per farmi roteare gli occhi all’indietro. I fianchi mi tremarono e i piedi s’infossarono nel materasso. La mia mano quasi volò verso la sua nuca, ma afferrai invece i cuscini, stringendoli forte, mentre lui mi portava all’apice del piacere… per poi ritrarsi di nuovo.
Dannazione, lo odiavo!
Si prendeva gioco di me.
Si prendeva sempre gioco di me.
Vuoi venire?
mi chiese, succhiandomi delicatamente, ora, e lasciandomi completamente vogliosa. Pronuncia il mio nome.
Quando si viene privati di un orgasmo, rimane questa brutta, orribile sensazione. L’incompletezza e la frustrazione volteggiarono dentro di me, facendomi arrabbiare. Abbatterono le mura del mio orgoglio, facendomi impazzire di disperazione.
Ero così vuota da far male.
Per favore
sussurrai, supplicando. Ti prego…
Ti prego, non costringermi a pronunciarlo.
Mi succhiò forte e io gemetti per la sorpresa, avvicinandomi di nuovo all’apice.
Oh, mio Dio, me l’avrebbe concesso?
Una vittoria, finalmente.
Le mie mani volarono verso la sua testa e gli piantai le unghie nel cuoio capelluto, costringendolo a restare lì. Mi divorò, gemendo insieme a me, come se godesse anche lui.
Ed eccolo lì: quel lampo accecante di piacere in avvicinamento.
Nixon
gemetti, incapace di trattenermi. Nixon!
Venni intensamente, mentre le sue mani mi tenevano giù i fianchi, affinché potessi cavalcare l’onda del piacere senza che la sua bocca mi lasciasse mai, con la sua lingua infilata dentro di me.
Percepii le sue labbra allargarsi in un sorriso e mi venne voglia di cavargli gli occhi. L’aveva fatto di nuovo. Aveva vinto. Avevo pronunciato il suo dannato nome, senza che lui me l’avesse estorto a forza.
Quando tornò a posizionarsi sopra di me, con il corpo nudo possente e muscoloso, abbatté la bocca sulla mia. Mi divaricò le labbra e la sua lingua lambì la mia, costringendomi ad assaggiare i miei umori. Adorava questo genere di cose.
Bastardo perverso
mormorai contro la sua bocca, mordendogli delicatamente il labbro inferiore.
Ridacchiò, guardandomi negli occhi, mentre infilava il cazzo tra le mie gambe, pungolando la mia apertura. Come vuoi che questo bastardo perverso ti scopi, Vix?
Feci scorrere le unghie lungo la sua schiena e gli afferrai le natiche. Forte
pretesi, mordicchiandogli la mascella. Fortissimo, Nixon.
Con un sorriso compiaciuto, fece proprio questo. Si conficcò dentro di me, duro e punitivo. Sentii le sue palle sbattermi contro il culo, mentre mi sferrava un colpo doloroso dopo l’altro. Tra una spinta e l’altra, mi schiaffeggiò i seni, guardandoli arrossarsi sotto di sé. Il pizzicore mi procurò delle scosse al ventre, rendendomi ebbra di desiderio. Il sudore gli colò lungo il viso, i suoi respiri diventarono ansimanti e irregolari. Mi guardò, senza mai staccare gli occhi dal mio viso, mentre mi scopava fino a farmi venire sotto di sé.
Gridai di nuovo il suo nome e lui assunse quell’espressione vittoriosa.
Venne subito dopo, irrigidendosi sopra di me, con le vene del collo che sporgevano, mentre gemeva all’apice del piacere.
Si lasciò cadere accanto a me ed emise un lungo sospiro. Entrambi fissammo il soffitto per alcuni istanti, in silenzio. La sua mano si posò sopra di me, scese lungo il mio corpo e mi accarezzò delicatamente la fica. Il suo dito si insinuò nella mia apertura, roteando tra i miei umori e i suoi, cospargendoli sulle mie pieghe.
Ti sono mancato, Vix?
mi chiese di nuovo, stavolta con curiosità.
Una lacrima mi scese lungo il viso. Sì
sussurrai, detestandomi per averlo ammesso.
Rispose con un grugnito, soddisfatto. Siamo stati pagati profumatamente.
"Tu sei stato pagato lo corressi gelidamente.
Io non ne ho preso parte."
Sto garantendo il nostro futuro.
Mi scesero altre lacrime. Quando mi libererai?
Le sue carezze non si fermarono. La mia domanda non lo scalfì. Sei già libera. Qui hai tutto a tua disposizione.
Lo schernii, scuotendo la testa con rabbia. Qui sono prigioniera, Nixon.
Ti tengo al sicuro.
Smettila di mentirmi.
Non ti lascerò andare.
Mosse il dito dentro di me, toccandomi lentamente, facendo riaccendere le scintille. Il tuo posto è con me, Vix. Ti ho presa. Ho ucciso per te. Sei mia.
Lo disse in modo talmente disinvolto. Come se nel palmo della sua mano non ci fosse stata la mia vita, a cui stava lentamente spremendo via l’anima.
Mi distrasse con il suo tocco, facendo roteare il dito, fino a quando sollevai i fianchi per la voglia dell’orgasmo.
Stasera sei una gattina insaziabile
commentò, divorandomi la bocca, mentre venivo. Mi baciò come se fossi l’aria che respirava e non ne avesse mai abbastanza.
E io lo baciai con la stessa intensità, perché ero legata a lui in un modo terribilmente fondamentale.
Mi scopò di nuovo, più forte stavolta, cercando di toccarmi l’anima. Ma io non cedetti.
La mia anima apparteneva a me.
Il muro che avevo costruito da quando lui mi aveva rinchiusa lì non aveva mai vacillato. Fortificavo quella maledetta barriera, affinché lui non potesse mai averla.
La mia anima…
Dannazione.
Nixon
gemetti, mentre venivo ancora una volta.
La mia anima apparteneva a me.
2
Tyrone
Nixon abitava nell’attico dell’Hotel Browning. Tyrone trovava estremamente strano che un uomo vivesse in un albergo, ma dopo un po’ la cosa aveva cominciato ad avere senso.
L’Hotel Browning era l’albergo più lussuoso delle isole Gulf. Situato su Grander Island, era circondato da riserve naturali e frequentato da turisti hippy e da ricconi.
Sull’isola giravano tantissimi soldi, e Nixon ne aveva a palate. Poteva permettersi praticamente di tutto.
Compresi occhi e orecchie.
L’Hotel Browning gli offriva la miglior sicurezza per sé e per quella gran gnocca della sua donna. Lui venerava Vixen.
Letteralmente.
Tyrone non aveva mai visto una venerazione simile dai tempi di Elena di Troia.
Dovette scuotere la testa, mentre sedeva nel salotto dell’attico di Nixon, ascoltando il folle litigio che si svolgeva in camera da letto. C’era un gran sbattere di porte, strillare e spaccare roba.
Oh, e niente di tutto ciò proveniva da Nixon.
Tyrone si chiese se quel cazzone fosse morto.
Non poteva biasimare la ragazza per averci provato.
Nixon aveva annientato selvaggiamente la propria banda per lei. Vixen era di sua proprietà: non c’era dubbio su questo. Viveva e respirava nell’Hotel Browning e non le era mai stato permesso di uscirne.
Quindi, sì, forse lei l’aveva ammazzato e, forse, stava strillando sopra il suo cadavere.
Poi, però, Tyrone udì la voce di Nixon.
Sst, piccola
mormorava. Piccola, piccola, piccola…
Tyrone rabbrividì, profondamente consapevole che quel rapporto sarebbe terminato in un disastro. Loro avrebbero finito per uccidersi a vicenda.
E lui sapeva…
Sapeva chi sarebbe stato l’ultimo a rimanere in piedi.
3
Vixen
N on sei in te
mi disse Nixon con tono tranquillizzante. Stava in piedi in mezzo alla stanza, vestito con giacca di pelle nera e jeans, con i capelli ben pettinati all’indietro. Sembrava un dio del sesso, niente affatto scomposto per avermi scopata fino alle quattro del mattino e aver dormito soltanto tre ore, prima di iniziare la giornata.
Lo fulminai con lo sguardo, legandomi l’accappatoio intorno alla vita, mentre gli passavo davanti per andare verso il letto. L’abito che era stato scelto per me quel giorno era disposto ordinatamente sul materasso, ben stirato grazie a qualunque cameriera fosse stata nell’appartamento di recente.
Cambiavano sempre.
Nixon era paranoico.
Non poteva avere la stessa cameriera per più di una settimana.
Ero sicura che avesse già assunto metà della popolazione dell’isola.
Afferrai il vestito e lo gettai a terra, prima di voltarmi verso di lui. I suoi occhi guardarono l’abito sul pavimento e poi tornarono su di me.
Non verrò alla tua stupida festa
gli dissi, ribollendo di rabbia.
Non stiamo festeggiando
mi corresse. Ci stiamo conglomerando.
Che cosa diavolo significa?
Significa che esamineremo un altro colpo.
Avete appena finito un colpo. Chi hai ucciso stavolta? Qualche re del cartello in Sud America?
No, piccola
emise un sospiro paziente. "Il re del cartello a cui davo la caccia era qui in Nord America."
Sapevo che mi stava prendendo in giro.
Lo trovava estremamente divertente.
Camminai avanti e indietro per la stanza, lanciandogli occhiatacce. Non ti è mai fregato niente di uccidere la gente, Nixon? Persone con un’anima e dei sentimenti. Degli esseri umani, maledizione!
La fai sembrare come se stessi ammazzando dei piccoli elfi al Polo Nord, cazzo.
Ma tu lo faresti, non è vero?
Si strinse nelle spalle, con poco entusiasmo. Se pagasse bene. Se servisse a farti indossare dei vestiti come quello che hai appena buttato per terra, certo. Raccoglilo, piccola, e mettitelo.
No
mi rifiutai. Stavolta non sarò la bambolina al tuo fianco. Va’ a cercarti qualcun’altra.
Ne abbiamo già parlato
rispose Nixon, fissandomi. Non voglio nessun’altra, Vix.
Beh, dovresti!
Beh, non è così.
La frustrazione ribollì dentro di me. Corsi alla finestra e spalancai le tende. Mi voltai verso di lui, urlando: E se mi buttassi già dalla finestra? È l’unico modo in cui mi lascerai andare?
Quando Nixon non rispose, afferrai la lampada sul supporto da tavolo accanto al televisore e strappai il cavo dal muro. Scagliai la lampada contro la finestra e la guardai infrangersi in centinaia di pezzettini.
Il vetro non si scalfì nemmeno.
Come ti ho detto l’ultima volta che ci hai provato, le finestre sono a prova di proiettile, piccola
mi spiegò Nixon.
Stavo ansimando, ormai, tremando tutta. Non mi permetti nemmeno di uccidermi.
La mascella di Nixon si contrasse; alla fine, aveva esaurito la pazienza. "Non ti permetterò mai di farti del male, gattina, me ne assicurerò. Ho agito così, perché gli altri non possano fare del male a te."
Sconfitta, alzai le braccia al cielo con aria indignata. Non posso continuare a vivere così, Nixon. Devi lasciarmi andare!
Il suo volto rimase fermo, quando rispose semplicemente: Mai.
Mai?!
Fumavo di rabbia. Stai cercando di farmi impazzire? Ti piace vedermi così?
Venne verso di me, allora, e io scossi la testa, determinata a tenerlo a distanza. Afferrai tutto quello che c’era sopra il comodino e lo scagliai nella sua direzione. Lui schivò il pettine, l’orologio, la dannatissima scatola di fazzoletti, e continuò a muoversi. Quando protese le mani, gliele allontanai con uno schiaffo, ma lui era come un muro che continuava ad avanzare. Mi cinse tra le braccia e, stavolta, crollai. Sbattei i pugni contro il suo petto, singhiozzando, mentre mi costringeva al suo abbraccio. Mi passò una mano tra i capelli bagnati, stringendomi forte, anche mentre lo colpivo.
Sst, piccola
mormorò tra i miei capelli. Piccola, piccola, piccola…
Smettila di chiamarmi così!
Come al solito, però, lui mi zittì, dondolandomi avanti e indietro, usando quella dannatissima parola affettuosa. Non mi era mai sembrata generica da parte sua. La pronunciava con così tanto sentimento, che sembrava quasi fosse il mio nome. Cominciai a calmarmi, tirando su col naso contro il suo petto, inspirando il suo profumo, come se fosse una droga di cui non mi stancavo mai.
Non mi accorsi che mi stava riportando verso il letto, finché non si fermò a raccogliere il vestito. Cercai di divincolarmi dalla sua morsa, ma lui si limitò a stringere la presa.
Lasciami andare
ringhiai.
Voglio che ti vesti…
Non ci verrò!
Piccola, tu verrai con me, che ti piaccia o meno.
Dannazione, Nixon, mi metterò a urlare
lo minacciai, fissandolo con sguardo truce. Mi sentiranno tutti in questo maledetto hotel!
Lui mi guardò, la calma prima della tempesta. Sai che ho anche fatto insonorizzare le pareti, piccola.
Mi sentii soffocare. La rabbia mi lacerò di nuovo, rimestandomi le budella. Cominciai a urlare, quando lui mi spinse improvvisamente sul letto e montò sopra di me, abbattendo la bocca sulla mia. Lo morsi, riaprendogli il taglio sul labbro, sentendo il sapore del sangue. Lui, però, non desisté. Mi baciò con la lingua, inghiottendo i miei singhiozzi, mentre mi accarezzava i capelli, come se fossi stata un animale selvatico che stava cercando di domare.
Come previsto, la situazione degenerò. Nixon sapeva che cosa mi placava. Tirò il nodo del mio accappatoio, che si aprì. Lo udii togliersi la cintura, mentre mi ingabbiava nella sua morsa. Mi dimenai, ma mi tenne giù con poco sforzo. Udii la sua cerniera aprirsi e il suo respiro farsi irregolare, mentre lottava per contenermi. Mi divaricò le gambe, combattendo contro la nostra burrasca, contro i miei arti che lo respingevano, e poi scivolò dentro di me. Ansimai, mentre mi penetrava. Non mi fece male. Ero già bagnata. Sapevo che sarebbe successo.
Sì, l’hai voluto tu, gattina
ringhiò, con i capelli arruffati ora. Volevi essere punita.
No…
gemetti.
Scivolò fuori e poi di nuovo dentro, facendomi piagnucolare dal piacere. Mi sorrise crudelmente. Sì, Vix, lo volevi.
Mi scopò forte, con colpi duri e punitivi. Continuò a zittirmi dolcemente, affrontando la mia furia, fino a quando non mi rimase più alcuna energia. Cedetti, singhiozzando sonoramente, agguantandogli la camicia per tirarlo verso di me. Senza più spingerlo via, gemetti a lungo e profondamente, sforzandomi di tenerlo vicino, ora.
Ero ancora indolenzita dalla sera prima. Il dolore era tale, che mi vennero le lacrime agli occhi. Il suo membro era gonfio e grosso e, per quanto io fossi bagnata, bruciava ogni volta che me lo spingeva dentro.
Lui continuava a ripetermi che l’avevo voluto io. Continuava a dirmi che dovevo essere punita e usata.
Lo vuoi, vuoi essere punita, piccola.
A un certo punto, lo ammisi. Gli dissi che era vero e, quando lui mi chiese quanto mi piacesse sentirlo dentro di me, che mi divaricava, piagnucolai che stavo per venire.
E così accadde. Venni forte intorno al suo cazzo, pronunciando il suo nome come una maledizione.
Quando venne anche lui, ringhiando dal profondo della gola, con la fronte appiccicata alla mia, qualcosa dentro di me si addolcì alla vista dei suoi occhi distanti, che guardavano disperatamente nei miei.
Stava cercando.
Cercava sempre quel legame.
Mentre giacevo ansimante sotto di lui, mi cinse tra le braccia e mi sollevò sul letto per farmi appoggiare la testa al suo petto, baciandomi dolcemente, col membro semiduro ancora dentro di me.
Ci eravamo passati fin troppe volte, ormai.
E, proprio come in passato, lui mi costrinse a tornare nella gabbia: tenne la porta spalancata e aspettò pazientemente che io ci entrassi.
Ci entrai, detestando lui e me stessa, pur non sapendo quale dei due odiassi di più.
Il mio corpo tremava e le lacrime cadevano senza sosta. Nascosi il viso sul suo petto, sfregando il naso nel suo calore. La bestia da cui cercavo di fuggire finì per essere quella che usavo per calmarmi.
Era una situazione così incasinata.
Alla fine, mi tranquillizzai, mentre lui continuò ad accarezzarmi, cullandomi in un sonno leggero. Non sapevo per quanto tempo fossi rimasta addormentata, ma quando mi svegliai, lui era ancora lì, ancora intento a stringermi, ancora sepolto dentro di me.
Mi faceva male la gola per aver urlato. Mi facevano male gli occhi per aver pianto. Mi sentivo… imbarazzata, per aver dato di matto.
Perché lui sopportava le mie sfuriate? Come faceva a rimanere così tranquillo con me, quando vedevo com’era con tutti gli altri?
Nixon era terribile.
Era crudele e violento.
Non si poneva assolutamente alcun problema a uccidere la gente a mani nude.
Eppure, ora stava usando quelle stesse mani per calmarmi.
Era sconcertante.
Quasi desideravo che fosse crudele con me. Se avessi avuto paura di lui, forse non avrei reagito in modo così incauto.
È colpa tua
mi ritrovai a dire, ostinatamente.
Davvero?
rispose in modo inerte.
Mi lasci fare scenate.
Ah sì?
Lo fulminai, alzando lo sguardo. Sì.
Mi guardò e il mio respiro si fermò per un attimo. Aveva del sangue tutt’intorno alla bocca e alla guancia. Il taglio sul labbro sembrava peggiore che mai. Sotto la mascella, aveva una scia di segni rossi di graffi, che finivano appena sotto il colletto della sua camicia. Le mie dita volarono verso quei segni e salirono fino alla sua bocca. Cercai di asciugargli il sangue, ma lui mi afferrò la mano per fermarmi.
Nixon
ansimai, sentendomi meschina dentro. Mi dispiace tanto.
Per quante colpe avesse, Nixon non mi aveva mai inflitto dolore per ferirmi. Non era mai stato violento né offensivo.
Il fatto che io stessi umanizzando il mio rapitore era un vero disastro. Sapevo che non aveva senso. Sapevo che, a un livello di base, avevo perso le rotelle. Questa… questa dinamica tossica, che andava deteriorandosi come carne avariata tra di noi, era diventata la nostra normalità. A un certo punto, ero sbottata, avevo reagito in maniera simile e lui non mi aveva ferita per questo.
E ormai non sapevo comportarmi diversamente, quando avevo la sensazione che la mia gabbia fosse troppo piccola.
Potrai farti perdonare più tardi
mi disse con leggerezza, ingoiando il mio seno nel palmo della sua mano grande. Adesso, voglio che ti lavi di nuovo e ti prepari.
Abbassai gli occhi. Emisi un sospiro di sconfitta. Perché mi trascini a questi eventi, Nixon?
Mi pizzicò il capezzolo e il suo cazzo s’indurì dentro di me. Perché mi piace averti vicino.
Così puoi controllarmi?
Così posso mostrare al mondo che sei mia.
4
Vixen
Mi diedi una lavata veloce, sciacquando via lo sperma tra le gambe. Nixon si chiuse semplicemente la zip, nonostante gli avessi detto che aveva un forte odore di sesso. Si limitò a sorridermi, niente affatto scoraggiato.
Avevo perso talmente tanto tempo facendo scenate, che non ne avevo abbastanza per acconciarmi i capelli. Me li lasciai ricadere lungo la schiena in onde scure e umide. Poi, indossai il vestito che Nixon aveva rimesso sopra il letto.
Era un abito bianco di pizzo, con profonda scollatura a V, che arrivava appena sopra il ginocchio. Mi fasciava stretta intorno alla vita e ai fianchi, e lasciava poco all’immaginazione nella zona del décolleté. Per fortuna, avevo i capelli abbastanza lunghi, da poter coprire la scollatura esposta, per non renderla così evidente.
Mi applicai un leggero strato di trucco e poi mi infilai le scarpe col tacco di alta moda. Un altro acquisto di Nixon. Tutto quello che c’era nel mio guardaroba era stato appositamente scelto da lui. Ero la sua bambola, che poteva agghindare e mettere in mostra.
Perché, mentre fissavo il mio riflesso nello specchio, ero decisamente consapevole che la persona di fronte a me non ero io.
Durante i miei anni da studentessa, ero abituata a vivere mangiando ramen e a farmi tagliare i capelli con un buono sconto in un salone poco raccomandabile. Avevo dei buchi nei vestiti, che mi procuravo dal mercatino dell’usato locale, e compravo i trucchi nel supermercato vicino a casa. Non era un granché: ero da sola, sommersa dai debiti universitari, impiegata part-time in una caffetteria a breve distanza dal posto che Nixon aveva derubato. Ma, anche se quella vita faceva schifo, era la mia vita.
Non ce l’avevo più.
Mi sentivo vuota come un guscio d’uovo. Mi erano state strappate via le interiora. Per due anni, mi ero lasciata crescere i capelli, mi ero fatta smaltare le unghie, depilare l’inguine e scegliere i vestiti: tutto per compiacere Nixon.
Apatica, uscii dalla camera da letto e rimasi inorridita nel trovare Tyrone stravaccato sul divano nero di pelle. Sembrava che fosse seduto lì da molto tempo e, quando i suoi occhi incontrarono i miei, nel profondo di essi vidi un’espressione consapevole.
Cazzo!
Le mie guance arrossirono e distolsi lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
Aveva sentito la mia sfuriata.
Probabilmente, aveva sentito Nixon che mi calmava.
Porca miseria
mormorò Nixon, uscendo dalla cucina per venire da me. C’era uno sguardo di pura voracità nella sua espressione, mentre mi ammirava dalla testa ai piedi. Tyrone, dimmi che non sono l’uomo più fortunato sul pianeta.
Tyrone rise, esaminandomi. Mentirei, Nixon.
Nixon venne da me e mi prese per i fianchi. Torreggiò sopra di me, con lo sguardo intrappolato nella scollatura del mio vestito. Poi, mi baciò rudemente, rovinandomi il rossetto, infilandomi la lingua in bocca per assaggiarmi. Il suo bacio fu rapido, ma accurato. Si ritrasse, con un’espressione selvaggia negli occhi. Ho voglia di rispedirti in camera da letto e scoparti di nuovo con questo frivolo vestitino addosso.
Così, arriveremmo in ritardo alla tua riunione
risposi con fermezza, anche se il cuore mi balzò in gola alla prospettiva di essere selvaggiamente ributtata sul letto.
Mi sforzai di apparire annoiata. Non volevo fargli capire che era un pensiero allettante. Nixon, con tutte le sue maniere incasinate, aveva padroneggiato l’arte di scopare con dominanza. Lo faceva in modo tale, che ne avevo bisogno per respirare.
Ero dipendente dal sesso.
Avrebbe potuto scoparmi tutto il giorno e non mi sarebbe mai bastato.
Ero sicura che gli piacesse così. Non avevo altro modo di trascorrere le mie giornate. Quando lui non c’era, ero torturata dalla noia e dalle lunghe ore passate a cercare di placare quella pulsazione dolorante in mezzo alle gambe.
Il mio rapitore mi aveva trasformata in una ninfomane.
Se la situazione non fosse stata così incasinata, mi sarei messa a ridere.
Ne varrebbe la pena, no?
mi chiese a bassa voce.
Mi strinsi nelle spalle, sembrando imperturbata. Lui sogghignò dinnanzi alla mia espressione, considerandola indubbiamente una sfida. Non gli piaceva che mi comportassi in modo distante. Anzi, questo lo irritava più di ogni altra cosa e, malgrado lo nascondesse bene dietro i suoi sorrisi arroganti, sapevo che dominava ogni suo pensiero. Voleva abbattere le mie barriere e riusciva a farlo soltanto scopandomi.
Mi chiedevo quanto la cosa gli desse fastidio, in quel momento.
Tyrone si schiarì la voce. Ah, beh, se avete intenzione di farvi un altro round, avvertitemi. Mi sento come se facessi parte di una cosa a tre e, nella realtà, sapete come funzionano solitamente queste cose. Due persone scopano alla follia, mentre una se ne sta a non fare un cazzo di niente.
Nixon sorrise. Tyrone, ti taglierei le palle e te le farei mangiare, prima di lasciarti entrare nella mia camera da letto.
Questo non ti ha mai impedito di condividere, prima d’ora.
La mascella di Nixon si contrasse. Non condividerò Vix.
Cercò di dirlo con scioltezza, ma vidi la vena del suo collo pulsare. Ero strettamente off limits.
Tyrone ridacchiò e si alzò in piedi. Era alto quasi quanto Nixon, ma neanche lontanamente altrettanto muscoloso. Tyrone era moro e bello a modo suo. Non brontolava contro tutti, non si comportava in modo aggressivo e, in genere, era meno uno stronzo arrogante.
A volte, avrei preferito che mi avesse rapita lui, piuttosto.
Ma Tyrone non rapiva. Era troppo normale per questo. Inoltre, suo padre lavorava in Parlamento, perciò non sembrava probabile nascondere cose come una vittima di sequestro in un hotel su un’isola in mezzo al nulla.
Sai se Hobbs è qui?
gli chiese Nixon, mentre ci dirigevamo alla porta.
No
rispose Tyrone, ma l’ultima volta che ho controllato, erano arrivati tutti.
Gente che conosciamo?
Sì, la solita banda.
Tyrone lanciò un’occhiata verso di me, aggiungendo con un sogghigno: E Doll.
Mi bloccai a metà passo, rabbrividendo internamente.
Detestavo Doll, dannazione.
5
Vixen
C’era una sala conferenze al piano terra dell’hotel. Era una stanza enorme e sontuosa, con un lungo tavolo di cedro e dodici sedie. Le pareti erano color sabbia, con appesi dei dipinti artigianali eccessivamente costosi e un lampadario scintillante, che penzolava sopra il tavolo e sembrava ridicolmente esagerato.
La finestra alta dal pavimento al soffitto vantava una vista incredibile sulla costa. Non c’erano barche ancorate su quel lato dell’isola. Una volta, Nixon aveva detto che non c’era abbastanza riparo per le imbarcazioni; così, l’oceano sembrava infinito, con le montagne in lontananza che aggiungevano quell’elemento mozzafiato extra a una vista altrimenti spettacolare.
Entrando, per prima cosa gravitai verso la vetrata. Ignorai le facce nella stanza. Lungo il tragitto, afferrai un calice pieno di champagne da un vassoio tempestato di diamanti e ne bevvi un piccolo sorso.
Ero perfettamente consapevole di aver oltrepassato Doll. Era seduta su una sedia, con gli occhi già puntati su di me, mentre camminavo. Indossava un abito rosso volgare e teneva le gambe appoggiate sopra il tavolo, completamente incurante della visuale che stava lasciando ammirare a tutti.
Vedo che non ti sei ancora stancato del tuo animale domestico, Nixon
commentò, ridacchiando.
Le lanciai uno sguardo annoiato. Nonostante indossasse quell’abito volgare, nonostante avesse scelto la posizione più mascolina, che lasciava ben poco all’immaginazione, Doll sembrava una dea di bronzo. Era una bellezza portoricana, con sorriso con le fossette e due tette da sballo.
Peccato che fosse una dannatissima stronza.
Bada a come parli, Doll
replicò Nixon.
Mi fermai davanti alla finestra e nascosi il mio sorriso. Nixon non accettava che si parlasse male di me.
Non intendevo offendere
rispose lei, con delicatezza. In realtà, anch’io sto pensando di tenere un animale domestico, ma ho sentito dire che mordono e non vorrei essere costretta ad abbatterne uno. Ti è mai passato per la testa, Nixon? Di dover abbattere il tuo animale domestico, se morde?
Doll
disse qualcuno in ammonimento.
Riconobbi la voce.
Rowan.
Parlava con un tono professionale. Avevo sentito molte delle loro conversazioni e sapevo qualcosa su di lui. Era un magnate del settore immobiliare con molti nemici. A quanto pareva, arrivare in cima implicava che si fosse sporcato le mani. Non si sarebbe detto, a guardarlo. Era un tipo alto, solido, in giacca e cravatta.
"Doll, abbatterò te, se non chiudi quella cazzo di bocca entro dieci secondi le disse Nixon.
Ucciderti sarebbe facilissimo, credo che sarebbe divertente, e nessuno sentirebbe la mancanza della principessa di ghiaccio."
Calmatevi, ragazzi
intervenne Tiger, seduto di fronte a lei. Era un altro tizio che avevo incontrato più volte nelle sale riunioni. Era tarchiato, basso e calvo. Non sapevo nient’altro di lui. Se ne stava per conto suo e la sua identità era completamente avvolta nel mistero. Dobbiamo lavorare insieme, quindi diamoci una regolata.
Sto solo facendo conversazione
replicò Doll, sulla difensiva. Non c’è niente di male a chiedere come comportarsi, se un animale domestico morde, e non dovrei essere minacciata di morte per questo. Lo dirò a Hobbs.
Oh, mio Dio. Era proprio una bambina.
Doll, sei stata tu a istigare
affermò Rowan.
No, non fa niente
intervenne Nixon. Corri pure da paparino, se ti fa sentire meglio, principessa.
Non è il mio paparino, stronzo
ringhiò Doll.
Ne sei sicura?
Fanculo, Nixon, e fanculo al tuo piccolo chihuahua nell’angolo. Dovresti abbatterlo, cazzo, prima che ti artigli la faccia la prossima volta.
Si riferiva ai graffi sul collo di Nixon? Serrai forte gli occhi, rabbrividendo. Lui avrebbe dovuto cambiarsi e indossare qualcosa di meno evidente, non metterli in mostra come trofei.
La mia piccola me li ha fatti in una colluttazione di tipo diverso, Doll
ribatté Nixon sfacciatamente.
Le mie guance avvamparono. Grazie a Dio, loro non potevano vedermi in faccia.
Quello sembrò fungere da rompighiaccio. Delle risatine riempirono la stanza. Doll scoppiò in una sonora risata e il suo malumore si alleviò. Touche, Nixon, bastardo sexy.
Bevvi un sorso più grande, aspettando che mi girasse la testa.
Quelle persone erano terribilmente disfunzionali.
Questa era la mia vita. Stare in mezzo a gente con nomi come Doll e Tiger.
Gesù!
Ero sicura che, prima della fine della riunione, ci sarebbe stata un’altra dozzina di battibecchi, ma loro non li prendevano mai troppo seriamente. Non era necessario, dato che avevano un unico obbiettivo in mente: portare a termine il lavoro, farsi pagare e andarsene.
E ciascuno di loro aveva un proprio scopo per trovarsi lì.
Persone come Nixon e Rowan non erano attirate dal bottino: avevano più soldi di quanti ne sapessero impiegare. E nemmeno Tyrone, nato in una famiglia privilegiata e mandato in collegio, mentre il padre si immergeva nella carriera politica, aveva bisogno di trovarsi lì. No, Tyrone era spinto unicamente da un impulso di ribellione: aveva provato un assaggio della vita spericolata e ne era rimasto affascinato, e probabilmente si divertiva a condurre una doppia vita.
Altri, invece, come Doll, accettavano questi lavori per un motivo completamente diverso. Non sapevano badare ai propri soldi. Avevo il presentimento che tutto il suo denaro le fosse finito su per il naso, o in una partita a poker a Las Vegas, e quando il gioco d’azzardo e la droga le avevano svuotato le tasche, si era fatta ingaggiare per un nuovo colpo.
Lanciando un’altra occhiata furtiva per la stanza, colsi il sogghigno presuntuoso di Nixon, il sorriso sfacciato di Doll, l’umorismo nel volto di Tyrone e Rowan e…
Il mio sguardo si fermò per un istante su una figura nell’angolo che non riconobbi.
Non lo osservai troppo a lungo, anche se, quando mi voltai verso la finestra, percepii i suoi occhi su di me.
6
Nixon
Nixon lo notò prima di Vix. Stava in piedi in fondo alla sala, anziché seduto a tavola. Aveva le braccia conserte e l’espressione chiara: stava cercando di fare il misterioso. Forse, pensava che starsene in silenzio gli avrebbe dato un netto vantaggio. Era circondato da criminali spietati e aveva l’aria di uno che fa parte di un gruppo pop. Aveva quel bel faccino per cui le ragazze andavano matte, Nixon lo sapeva. Aveva le labbra carnose e gli occhi azzurri: quel genere di azzurro che una come Vix avrebbe definito affascinante .
Personalmente, Nixon avrebbe definito ‘affascinante’ un cazzotto sulla bella faccia di quel ragazzo.
Ok, sapeva di non essere ragionevole e, per intenderci, la cosa non lo avrebbe infastidito. Per niente. In verità, se quel bel damerino non avesse fissato la sua ragazza con gli occhi più voraci che lui avesse mai visto, Nixon avrebbe completamente trascurato la presenza di quel bel faccino. Invece, il bastardo stava lentamente firmando la propria condanna a morte, rimirando Vix centimetro dopo preziosissimo centimetro.
Chiaramente, bisognava tracciare dei limiti. Nixon non era un completo stronzo. Sapeva che, probabilmente, l’uomo-ragazzo non aveva idea che lei fosse marchiata a vita. E, per essere onesti, a Nixon piaceva che la sua ragazza facesse voltare le teste. In fin dei conti, era la creatura più bella che lui avesse mai visto.
Però, qualcosa di questo tizio dava sui nervi a Nixon, e non era l’eccessiva fiducia in se stesso che irradiava, mentre si guardava intorno per la stanza, squadrandola. Era qualcosa di completamente diverso. Qualcosa che Nixon non riusciva ancora a decifrare.
Mentre tutti aspettavano l’arrivo di Hobbs, Nixon rivolse la propria attenzione alla conversazione di Tyrone con Rowan. Stava parlando del suo ultimo investimento, malgrado questo stesse probabilmente andando a rotoli in quel preciso istante, come tutti gli altri. Doll inserì qualche frecciatina tra le righe, istigando Rowan a staccarle la testa a morsi.
Riportando l’attenzione su Vixen, Nixon si accigliò. Era troppo occupata a guardare fuori dalla finestra, con la sua solita espressione affranta in viso. Ultimamente, era scontrosa e chiusa in se stessa. Non era un’espressione che a lui piacesse vedere, ma col passare del tempo, lei diventava sempre più difficile da arginare.
A Nixon venne voglia di profanarla proprio davanti al bel ragazzo. Voleva marchiarla in modo che tutti assistessero, fare una dichiarazione che il bel ragazzo non avrebbe dimenticato.
Lei era sua.
Sua.
Così come il cielo apparteneva alla terra, Vix apparteneva a Nixon.
Mia. Pensò con feroce possessività.
Lei è mia.
7
Vixen
Hobbs arrivò poco dopo che io notai il tizio nell’angolo.
Odio questo cazzo di posto
fu la prima cosa che disse, quando entrò a grandi passi con la valigetta in mano. Nixon, dannato figlio di puttana, sono stufo di prendere traghetti per quest’isola di merda.
Comprati una barca, capo
disse Rowan. Fila liscia come l’olio.
Quando Hobbs gettò la valigetta sul tavolo, si sfilò la giacca del completo e fulminò Rowan. "Non voglio comprare una cazzo di barca, Rowan. Non mi piacciono le barche. Non mi piace la fottutissima acqua e non ho nessun cazzo di interesse a strisciare attraverso l’oceano a passo di lumaca, per arrivare in questa merda di posto, solo per dare a voi stronzetti il vostro prossimo fottutissimo incarico. Poi, reindirizzò lo sguardo truce verso Nixon e chiese:
Perché cazzo sei seduto sull’orlo del fottutissimo tavolo, Nixon? E Doll, a meno che tu non voglia offrirci uno spettacolo della tua fica, tira giù quelle cazzo di gambe."
Doll abbassò le gambe e si sedette composta, ma Nixon non si mosse. Rimase seduto sul bordo del tavolo, facendo un gesto col pollice in direzione dell’angolo. Ha dimenticato di rimproverare il bel ragazzo laggiù.
Hobbs si voltò a guardare il tizio nell’angolo. Roteò gli occhi. Stai cercando di fare il misterioso, Flynn? Vieni via di lì, cazzo.
Quando il tizio lasciò l’angolo, Doll mi indicò. E lei, Hobbs?
Hobbs emise un sospiro drammatico. "Lasciala in pace. Mi piace lì dov’è. La stanza è elevata dalla sua presenza."
Doll mi lanciò un’occhiataccia e Nixon sorrise.
Il tizio che Hobbs aveva chiamato Flynn si accomodò sulla sedia accanto a Doll. Non potei fare a meno di notare lo sguardo diffidente che Nixon gli lanciò.
Chi cazzo è questo ragazzino, Hobbs?
domandò Tyrone, sembrando ugualmente sospettoso.
Questo è Flynn
rispose Hobbs, impassibile. Pensavo di averlo chiarito, quando ho pronunciato il suo cazzo di nome.
Flynn prese una di quelle penne degli alberghi sopra il tavolo e la fece ruotare, lanciandomi un’occhiata. Distolsi rapidamente lo sguardo, sentendo il mio battito accelerare.
D’accordo, beh, qual è il suo ruolo in tutto questo?
chiese Rowan, appoggiandosi allo schienale della sedia.
Già, non l’ho mai visto prima
cinguettò Tiger.
È troppo bello
mormorò Doll, come se fosse un insulto.
È il vostro autista per la fuga
intervenne Hobbs, digrignando i denti. Ve l’avrei detto, se aveste chiuso tutti quella cazzo di bocca e mi aveste lasciato parlare.
Perché abbiamo bisogno di un autista per la fuga?
domandò Nixon, con una nota di disapprovazione nel tono. Faremo le cose in sordina. Quando scatta l’allarme, saremo già lontani.
Ottima osservazione
concordò Rowan.
Doll sollevò le sopracciglia. Immagino che le cose si metteranno male, signori.
Credo che sarà Hobbs a dircelo
affermò Tyrone.
