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Woodrow Wilson
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Woodrow Wilson

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Rettore di Princeton, professore di Economia politica, Wilson diventò governatore del New Jersey nel 1910 per i democratici. Presidente due anni dopo, abolì il protezionismo, decise la prima imposta federale permanente sul reddito, creò il sistema della Federal Reserve, attuò leggi antitrust e di tutela sul lavoro. Dal 1914 mantenne a lungo il Paese nella neutralità. Con l'invio di enormi contingenti per la fine del 1918, trasformò la sua nazione nell'unico creditore del dopoguerra. In Europa per negoziare la pace sulla base dei cosiddetti "quattordici punti", accolto come salvatore, fu scalzato dagli alleati. Riportò in America un trattato per la Lega delle nazioni che non ebbe fortuna. Visse gli ultimi anni, colpito da ictus, lontano dal mondo.
LanguageItaliano
PublisherPelago
Release dateApr 21, 2022
ISBN9791255010340
Woodrow Wilson

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    Woodrow Wilson - Barbara Curli

    Woodrow Wilson

    di Barbara Curli

    Introduzione

    Quando, il 2 aprile 1917, si presenta di fronte al Congresso degli Stati Uniti riunito in sessione straordinaria per chiedere il voto della dichiarazione di guerra alla Germania e la guerra europea si trasforma di conseguenza in un conflitto effettivamente mondiale, Thomas Woodrow Wilson ha sessantuno anni. Democratico, è il 28° presidente degli Stati Uniti, eletto una prima volta nel 1912 e rieletto nel 1916. In quel momento egli è consapevole del carattere epocale, per gli Stati Uniti e per il mondo, di quella decisione, così come epocale era la guerra in corso, «la più terribile e disastrosa di tutte le guerre»:

    […] è arrivato il momento in cui l’America ha il privilegio di mettere a disposizione il proprio sangue e la propria potenza per quei principi per i quali essa è nata e ai quali deve la sua felicità, e per la pace che le è sempre stata a cuore.

    L’America entrava dunque in guerra per dei princìpi:

    Il mondo deve essere messo al sicuro per la democrazia. La pace deve poggiare saldamente sugli sperimentati principi della libertà politica. Noi non perseguiamo obiettivi egoistici. Non abbiamo desiderio di conquista né di dominio. Non cerchiamo guadagni per noi, né compensazioni materiali per i sacrifici che liberamente faremo. Non siamo che uno dei difensori dei diritti dell’umanità.

    Nel momento in cui dichiarava la guerra, l’obiettivo di Wilson era in realtà la pace, un certo tipo di pace, che avrebbe dovuto essere diversa da quelle del passato perché diverso e senza precedenti era il tipo di guerra che si stava combattendo nelle trincee d’Europa, nei deserti del Medio Oriente, sulle coste del Pacifico e nei mari del mondo, tra le maggiori potenze che attraverso gli imperi dominavano gran parte del pianeta. Si trattava di una guerra globale e della prima grande guerra dell’era industriale, per la quale un potenziale industriale senza precedenti era messo al servizio degli apparati militari. Una guerra combattuta da eserciti nazionali costituiti da milioni di uomini reclutati attraverso la leva di massa, che si svolgeva di fronte a opinioni pubbliche informate dai nuovi mezzi della comunicazione e della propaganda e attraversate dalle tensioni della modernizzazione e da aspirazioni di cambiamento politico e sociale amplificate dalla mobilitazione civile e, specie dopo il 1917, da speranze di rivoluzione. In questo senso si trattava anche della prima grande guerra ideologica che apriva il Novecento, e che richiedeva un progetto di pace fondato su basi ideologiche nuove, che Wilson contribuì a definire sia sulla traccia della tradizione dell’internazionalismo americano, sia in virtù della percezione dei nuovi interessi nazionali degli Stati Uniti come potenza globale moderna. Tali interessi venivano identificati con la lotta all’autoritarismo e con la costruzione di una società internazionale costituita da nazioni democratiche e basata sul «dominio universale del diritto», che solo poteva portare pace e sicurezza. Così, gli interessi americani venivano fatti coincidere con quelli dell’umanità.

    Uno stabile concerto di pace può essere mantenuto soltanto attraverso un accordo tra nazioni democratiche. Non ci si può fidare dei governi autocratici né aspettarsi che essi tengano fede agli impegni assunti. Si deve trattare di un’associazione fondata sull’onore e sulla condivisione di ideali. […] Soltanto i popoli liberi possono restare fedeli ai propri obiettivi e al proprio onore in vista di un obiettivo comune, e anteporre ai propri interessi particolari gli interessi dell’umanità.

    In questo discorso, così come nei molti altri che scandirono la sua presidenza, emerge la dimensione morale e visionaria del linguaggio di Wilson, che avrebbe variamente influenzato il linguaggio stesso delle relazioni internazionali del Novecento. Ma non si trattava di un’utopia retorica. La visionarietà di Wilson era radicata in una riflessione, realistica e preoccupata, sulla natura della società americana in corso di rapida trasformazione e tumultuosa industrializzazione. L’età progressista e la sua enfasi sulle riforme – dello Stato e dell’amministrazione, della cittadinanza, del rapporto tra poteri dello Stato e tra Stato ed economia – poneva anche la questione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo e del tipo di ordine internazionale più adatto a tale ruolo, una questione alla quale le vicende della guerra attribuivano ora un senso tragico di urgenza.

    Il professore

    Nato a Staunton, in Virginia, nella Shenandoah Valley, il 28 dicembre 1856, Thomas Woodrow Wilson era il terzogenito e primo figlio maschio del reverendo Joseph Ruggles Wilson, pastore presbiteriano, figlio di immigrati di origine scozzese-irlandese che vivevano in Ohio, e di Janet Woodrow, nata in Inghilterra e figlia di un pastore presbiteriano scozzese (Thomas, dal quale il futuro presidente ebbe il nome), emigrato in Ohio quando Janet aveva cinque anni. Janet aveva sposato Joseph a diciannove anni. La coppia si era trasferita in Virginia e prima di Thomas (Tommy, come era comunemente chiamato in famiglia e nella cerchia dei conoscenti) aveva avuto due figlie, Marion e Annie. La famiglia si era poi spostata ad Augusta in Georgia, quindi a Columbia in South Carolina, cosa che fece di Wilson – come ha scritto uno dei suoi biografi, John Madison Cooper – «un vero figlio del Sud», dove si trovava nel 1860, quando fu eletto Lincoln e scoppiò la guerra civile. Tommy cresce, quindi, in un clima di disintegrazione politica e sociale, segnato dalla fine della schiavitù ma anche dalla continuazione e trasformazione della violenza razziale. E vive, allo stesso tempo, in un’atmosfera familiare profondamente religiosa, improntata a moralità calvinista e senso del lavoro come servizio reso a Dio. In uno dei suoi primi scritti di natura religiosa, egli paragona la vita a una giornata di lavoro, alla fine della quale ciascuno deve rendere conto a Dio dei propri atti. Bambino non particolarmente brillante nell’apprendimento – anzi, varie biografie suppongono che abbia sofferto di un disturbo di dislessia –, nel 1873 Tommy si iscrive al Davidson College in North Carolina, luogo spartano dove ciascuno studente deve andare a prendersi l’acqua, tagliarsi la legna e accendere il fuoco nella propria stanza. Nel 1875 entra a Princeton, allora ancora College of New Jersey, uno dei college americani fondati prima della rivoluzione e di orientamento presbiteriano, che annovera tra gli alumni James Madison, uno degli autori dei Federalist Papers, scritti nel 1788 a favore della nuova Costituzione degli Stati Uniti. A Princeton si appassiona alla politica, all’economia (specie nei suoi aspetti morali) e alla storia, temi sui quali comincia a scrivere i primi saggi, e viene coinvolto nella redazione del giornale del campus, «The Princetonian», che dirigerà per qualche tempo. Iscrittosi poi alla Law School della University of Virginia, fondata da Thomas Jefferson, smette di farsi chiamare Tommy e adotta il nome Woodrow. Pur trovando il diritto un po’ noioso e anzi preferendo a esso, in quel periodo, letture come l’Eneide e la Democrazia in America di Tocqueville, nel maggio 1882 comincia la pratica in uno studio legale di Atlanta, dove incontra Ellen Louise Axson, a sua volta figlia di un pastore presbiteriano, che diventerà sua moglie. Il fratello di lei, Stockton Axson, sarà da subito, e per tutta la vita, tra i migliori amici di Woodrow, tanto da dedicargli, nel 1921 il libro Brother Woodrow. A Memoir of Woodrow Wilson, il ritratto di «un uomo complesso che visse in un mondo complesso» e che ebbe il ruolo di «arbitro dei destini delle nazioni civilizzate». Dopo che Ellen ebbe terminato gli studi alla Art Students League di New York, i due si sposano a Savannah il 24 giugno 1885, con una cerimonia sottotono e senza fiori, a causa della recente e drammatica morte, per suicidio, del padre di lei, un’esperienza che lascerà a Ellen una essenziale malinconia, una tristezza di fondo, forse una tendenza alla depressione.

    Abbandonata la pratica legale, per la quale non nutre interesse, nel 1883 Woodrow si iscrive alla Johns Hopkins University di Baltimora, dove studia Scienza politica e Politica economica. Grande ammiratore di Walter Bagehot e dei suoi studi sulla Costituzione inglese, a essi si ispira per la tesi di dottorato che sarà pubblicata nel 1885 per i tipi della Houghton Mifflin di Boston, Congressional Government. A Study in American Politics, che resta la sua opera scientifica più importante. Wilson è l’unico presidente degli Stati Uniti che abbia conseguito un dottorato di ricerca. Nel volume si analizzano i meccanismi del modello di governo federale americano, che ha al centro il Congresso (ed è fondato sul lavoro dei committees), rispetto al governo di gabinetto dei regimi parlamentari. Ciò che interessa particolarmente Wilson è la questione della leadership politica e la riflessione sulla capacità del sistema politico americano di adeguarsi alla crescita della nazione («as the nation grows»).

    La sua riflessione su questi temi continuerà negli anni seguenti con altre pubblicazioni, tra le quali A Study of Administration (un saggio uscito sul «Political Science Quarterly» nel 1887), e il volume The State, del 1889. In esse il giovane studioso s’interroga sul rapporto tra politica e amministrazione e sulla compatibilità tra i meccanismi della democrazia e le trasformazioni economiche e sociali in corso nella società americana, dunque sulle forme burocratiche e amministrative più adatte a uno Stato moderno, le cui funzioni diventavano sempre «più complesse e difficili». Tra quelle trasformazioni Wilson indicava la crescita dei monopoli, il conflitto tra capitale e lavoro (che aveva ormai raggiunto «proporzioni enormi»), lo sviluppo degli scambi commerciali. In particolare, la sua riflessione verteva sulla necessità di elaborare modelli amministrativi adatti alle specificità della società americana e ai suoi «valori» rispetto ai sistemi amministrativi europei.

    Assunto il primo incarico accademico nel 1885 nel college femminile di Bryn Mawr (si chiede nel suo diario, il 20 ottobre 1887, che senso avesse insegnare Scienza politica alle donne, dato che non godevano del diritto di voto), passa poi a quello maschile di Wesleyan e continua a tenere lezioni alla Johns Hopkins (The State è la raccolta delle sue lezioni universitarie di quegli anni), per essere infine chiamato a Princeton nel 1890. Qui fa una rapida carriera accademica, che lo porterà a diventare rettore e ad avviare la trasformazione dell’istituto, da piccolo college in una delle più prestigiose università statunitensi, attraverso un’opera di riorganizzazione amministrativa e finanziaria e di ridefinizione dei programmi di studio e degli standard accademici. Oltre a rafforzare il programma delle materie scientifiche, Wilson rompe l’ortodossia presbiteriana dell’ateneo, nominando il primo docente ebreo e il primo docente cattolico. L’obiettivo, come dirà nel suo discorso di investitura come rettore, Princeton for the Nation’s Service, era quello di contribuire a formare una nuova classe dirigente di «uomini e patrioti», cui stessero «più a cuore i principi del denaro», dal momento che «le più grandi vittorie dell’America sono state le vittorie della pace e dell’umanità». L’America stava entrando in una «nuova era», nel corso della quale, «a quanto sembra», avrebbe dovuto diventare «leader del mondo». In tale opera di riorganizzazione, Wilson si scontrerà tuttavia con un ambiente accademico attraversato da rivalità e obiettivi diversi dai suoi, che gli lascerà un senso di frustrazione e tradimento e risentimenti personali che lo avrebbero segnato profondamente. Quando entrerà in politica e si confronterà con gli intrighi dei veri politici di Washington, osserverà come questi sembrassero dei «dilettanti» rispetto ai «politici accademici» che erano stati suoi colleghi. Una volta alla Casa Bianca, confidò a Edward House che a distanza di anni aveva ancora «incubi» popolati dai suoi «nemici accademici» di Princeton. Da presidente, Wilson continuerà a essere in qualche modo identificato con il suo ruolo di professore universitario, anche per l’abitudine allo studio, alla riflessione solitaria, a un ostentato senso di superiorità intellettuale, e le caricature dell’epoca – pure durante la pace di Versailles – tenderanno a raffigurarlo con toga accademica e cappellino a punta.

    Nel frattempo il professore ha avuto tre figlie: Margaret, nata nel 1886; Jessie, che nel 1913 sposerà Francis Bowes Sayre, professore a Harvard, che guidò la missione dell’Ymca in Italia nel 1917; Eleanor (Nell), che sposerà il segretario del Tesoro del padre, William Gibbs McAdoo.

    In questi anni, Wilson rilegge Edmund Burke e le sue Riflessioni sulla rivoluzione in Francia e scrive alcune opere di carattere semidivulgativo di storia americana, più che come storico, ammetterà egli stesso, come «scrittore di storia» e come forma di comunicazione pubblica («ero io che volevo imparare» la storia degli Stati Uniti, dirà nel 1916 alla giornalista Ida Tarbell, in una celebre intervista sulle radici del suo «Americanism»). Uscito nel 1893, Division and Reunion, 1829-1889, ragiona sulle cause sociali della guerra civile e sulle dinamiche della ricostruzione postbellica in termini di ricostituzione di una compagine nazionale. Una biografia di George Washington del 1896 e un’opera in cinque volumi «A History of the American People» del 1902 furono pubblicate a puntate sulla rivista «Harper’s». Si tratta di riflessioni sull’identità storica americana che, in qualche modo, contribuirono a ridefinire e rafforzare il nazionalismo del futuro presidente. Esse furono ispirate anche dal lungo sodalizio intellettuale con lo storico della frontiera americana Frederick Jackson Turner (negli

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