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Ranuncoli tra i capelli
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Ranuncoli tra i capelli

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About this ebook

Inghilterra, 1895 - Sono passati quindici anni da quando Clara ha incontrato Eric Turner per l'ultima volta. Lui, all'epoca, era solo il figlio minore dell'amministratore della tenuta dei suoi zii; lei era in procinto di sposare un industriale di Manchester. Tra i due la sintonia era stata immediata, ma le loro strade erano destinate a dividersi.
Quando Clara, ormai vedova e madre di una bimba piccola, fa ritorno a Nightingale House, è proprio a Eric che deve a chiedere aiuto per riportare la tenuta di famiglia agli antichi splendori. Vivere lì è ciò di cui ha bisogno per riprendere in mano le redini della propria vita e, mentre tutto pare sospinto verso un futuro promettente, quell'intesa con Eric sembra tornare prepotentemente a galla.
Insieme a essa, tuttavia, fanno capolino nella vita di Clara anche vecchi fantasmi, che la costringeranno a dover capire di chi fidarsi per proteggere ciò che le è più caro.

Dopo lo straordinario successo de "La Seconda Moglie" e "Lo Pseudonimo", Juls Way torna con una nuova, emozionante storia ambientata nell'Inghilterra vittoriana, che parla di riscatto e di seconde opportunità per essere felici.
LanguageItaliano
PublisherWords Edizioni
Release dateJun 7, 2024
ISBN9791281469730
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    Book preview

    Ranuncoli tra i capelli - Juls Way

    Contents

    Title Page

    Copyright

    Dedication

    Epigraph

    Prologo

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Epilogo

    Ranuncoli tra i capelli

    Juls Way

    Words Edizioni

    Copyright © 2023 Juls Way

    Questo libro è un’opera di finzione.

    I nomi, i personaggi, i luoghi, marchi, media ed episodi narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autore o utilizzati in maniera fittizia. L’autore riconosce lo status del marchio di fabbrica e i proprietari del marchio dei vari prodotti, band e/o ristoranti e locali menzionati in questo romanzo, che sono stati usati senza permesso. La pubblicazione e l’uso di questi marchi non è autorizzata, associata o sponsorizzata dai proprietari del marchio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o defunte, con eventi e luoghi è puramente casuale.

    Titolo: Ranuncoli tra i capelli

    ISBN: 9791281469730

    © 2023 Words Edizioni di Anita Sessa – Albanella (SA)

    Tutti i diritti riservati.

    Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, inclusa la fotocopiatura, la registrazione, o altri metodi elettronici e meccanici, senza previo consenso scritto da parte della casa editrice, eccetto nel caso di brevi citazioni inserite all’interno di recensioni e i casi specifici di utilizzo permessi dalla legge sul copyright.

    www.wordsedizioni.it

    Progetto grafico: Rocchia Design

    Editing: Silvia Zucca

    I edizione: Marzo 2023

    Ad Alice ed Elisabetta, non siete ciò che avete perso.

    When we were younger we thought

    Everyone was on our side

    Then we grew a little

    And romanticized the time I saw

    Flowers in your hair

    Flowers in your hair, The Lumineers

    Prologo

    Nightingale House, settembre 1895

    Non appena Mrs Anville scese dalla carrozza, e i suoi stivaletti neri toccarono il ruvido ghiaino del viale, percepì subito l’aria di casa. Forse era per il profumo delle campanule blu o per il sentore umido del muschio del sottobosco. Guardando la facciata di Nightingale House, il suo portone invaso dalle piante rampicanti, le sembrò di non averla mai lasciata, la sua adorata dimora.

    Invece, erano passati dodicianni.

    Era uscita da quelle mura vestita per le nozze, con il nome di Clara Williams, e ora vi tornava come vedova.

    Indugiò.

    Se avesse percorso il breve vialetto, quella misera distanza che la separava dalla porta, avrebbe oltrepassato non solo la soglia di casa, ma anche un punto di non ritorno.

    «Mammina, siamo arrivate?» pigolò la figlia alle sue spalle.

    Clara si voltò e prese in braccio quel dolce frugolino.

    «Sì, ochina.» rispose chiamandola con l’appellativo amorevole che le aveva dato.

    Sentire quelle manine stringere i merletti del suo abito le infuse inaspettatamente coraggio.

    Perciò, nonostante il tormento nell’animo, Clara Anville fece quei pochi passi che mancavano per raggiungere la porta.

    E sperò in cuor suo che Anthony Anville non l’avrebbe mai trovata.

    Manchester, marzo 1894

    Era la sera in cui sbrigare la faccenda.

    Benjamin Anville guardava la sua amata Clara dormire, serena. Desiderava portare con sé quell’immagine, con i lunghi capelli raccolti in una treccia, i lineamenti del viso distesi, le labbra leggermente dischiuse. Chiese disperatamente alla propria memoria di fare un ultimo sforzo per quell’ora che aveva ancora davanti.

    L’anima gli era pesante.

    Il cuore un macigno.

    Tuttavia, non vedeva alternative. Non aveva preso quella decisione d’istinto, nell’impeto della disperazione. Non era stato mai un uomo d’azione, un impulsivo, e la malattia lo aveva reso ancora più mite.

    O almeno così raccontava Clara.

    La sua intelligentissima, bellissima Clara.

    In altre circostanze, avrebbe giudicato la sua decisione egoista, ma in quel caso non lo era affatto. Chi avrebbe mai condannato una donna ancora così giovane a una vita difficile e umiliante? Almeno l’onta del marito in sanatorio doveva risparmiargliela. A lei e alla piccola Anne.

    Tutto era stato preparato: il testamento controfirmato, le disposizioni date.

    Si concentrò ancora una volta sul profilo della moglie, alla fioca luce della candela. Si alzò, lento, per evitare di svegliarla. Se l’avesse fatto, tutto il coraggio che aveva raccolto con fatica sarebbe svanito e lui non avrebbe mai concluso la faccenda.

    Silenzioso, per quanto gli fosse possibile, agguantò i vestiti riposti sulla sedia, attraversò la stanza e chiuse la porta dietro di sé. Salì le scale e arrivò al suo studio, al piano più alto della casa, dove le vecchie travi erano esposte sul soffitto.

    Si vestì, prima di accomodarsi alla scrivania. Doveva andare con ordine. Non doveva dimenticare nulla. Estrasse dal cassetto un foglio di carta intestata, intinse il pennino nell’inchiostro e iniziò a scrivere. Le parole fluirono dense, dolorose, necessarie.

    Mia amata Clara,

    scrivo queste brevi frasi per congedarmi da te.

    In questo momento sono in me, del tutto in me, credimi.

    Ancora, le ore, i giorni buoni sono più numerosi rispetto a quelli che trascorro nella nebbia. Sappiamo, però, entrambi che questo è un periodo di transizione destinato a finire, dunque ho preso una decisione. L’ho presa pensando al futuro, un futuro che non vedrò, ma che per te, per Anne, voglio sia luminoso.

    Siamo stati felici insieme per questi quattordici anni, troppo pochi per vedere Anne crescere, abbastanza per tenerci per mano guardandoci negli occhi, tuttavia sai bene che per me è impossibile pensare di vivere così, sapendo di essere un peso, un’onta per te e per i miei figli. E peggio ancora, di non rendermene conto.

    La sua grafia si fece più incerta, e si rese conto che avrebbe potuto non riuscire a scrivere tutto quello che voleva.

    La nebbia, l’oblio erano in agguato.

    La mano tremò.

    Perdonami, se puoi, amore mio.

    Vivi una buona e lunga vita.

    Ti amo, Clara.

    Un ultimo sforzo, si disse.

    Di’ ad Anne che è la mia stella e che l’ho amata tanto.

    Di’ ad Anthony che ha il mio perdono, che gli ho voluto bene.

    Tuo, Ben

    Basta. Aveva tergiversato fin troppo.

    Il tempo stringeva.

    Benjamin Anville si mise in piedi e andò verso il mobile accanto alla porta: dentro un cassetto aveva nascosto la corda.

    La prese, tornò alla scrivania e si issò sulla sedia.

    L’ultima cosa che Benjamin Anville vide furono i prepotenti raggi del sole che si facevano avanti tra le fessure delle imposte.

    Il primo sole primaverile.

    Capitolo 1

    Nightingale House, settembre 1895

    Mrs Clara Anville guardò attraverso i vetri opachi il giardino trascurato di Nightingale House. Pesanti nuvole si muovevano rapide nel cielo. Erano passati tre giorni dal suo arrivo e cinquecento sessantadue dalla morte di Benjamin. Forse ormai sarebbe dovuta passare agli abiti da mezzo lutto, alleggerendo il proprio abbigliamento, tuttavia, non aveva nel modo più assoluto intenzione di scegliere qualcos’altro da indossare. Non sapeva neanche che ore fossero, se avesse dormito la notte precedente o se, come spesso le accadeva, la mente fosse caduta in una sorta di dormiveglia angoscioso, durante il quale i fantasmi dei vivi e dei morti l’assillavano per non consentirle il riposo. Si accomodò sulla sedia a dondolo, stringendosi nella calda e ampia vestaglia che una volta era appartenuta al marito. Da quando aveva varcato la soglia di casa, si era concessa un po’ di apatia. Se la poteva permettere perché era tornata, perché tra quelle mura erano racchiusi solo ricordi felici.

    Cinquecento sessantadue giorni, ma si ostinava ancora a coprire gli specchi con pesanti tessuti neri.

    Qualcuno bussò e, con fare svogliato, chiunque fosse, lo invitò a entrare; il suo volto si addolcì non appena vide la figlia trotterellare nella stanza per gettarsi tra le sue braccia seguita da Gwenda Murray, la sua cameriera personale.

    «Ciao mammina!» esclamò la piccola, stringendosi a lei. 

    «Buongiorno, Anne» rispose, mettendola a sedere sulle ginocchia.

    «Come state questa mattina, mia signora? Siete riuscita a riposare dopo il viaggio?» domandò la domestica mentre apriva l’armadio.

    «Al solito, temo.»

    «Posso consigliarvi l’abito nero a collo alto con le rifiniture grigie?»

    Clara toccò il nasino di Anne, poi le arruffò i capelli biondi. «Per passare del tempo con zia Agatha?» chiese poi, come a rimarcare quanto fosse superfluo vestirsi elegante.

    «Vi aspetta per la colazione e poi nel pomeriggio dovreste andare a Landford Abbey.» Gwenda cercava di spronarla ogni mattina a reagire, proponendole abiti diversi e attività. Clara però voleva solo continuare a oscillare tra l’indolenza e una quotidianità consolidata, temendo i cambiamenti improvvisi, altre perdite.

    «Credo sia ancora presto» affermò alzandosi dalla sedia a dondolo con la bambina in braccio.

    «Arriverà un invito e non potrete esentarvi.»

    La vedova Anville fece una pausa e lasciò che Gwenda Murray l’aiutasse a prepararsi. Abbandonò malvolentieri la sua morbida vestaglia per accomodarsi alla toeletta. Come ogni mattina, si vestì in gramaglie, sperando che tutta quella pesante stoffa scura la preparasse, come un’armatura, ad affrontare ogni dolorosa giornata.

    Mrs Anville scese le scale per andare a fare colazione, decisa a smettere di evitare zia Agatha. Non appena arrivata, l’anziana era stata molto discreta, non aveva fatto domande, nessun accenno ai motivi del suo rientro. Le aveva lasciato il tempo di riposare dopo il viaggio, di ambientarsi, di nuovo. Zia Agatha era una donna paziente, ormai la conosceva forse meglio di chiunque altro; avevano intrattenuto una vivace corrispondenza durante gli anni, soprattutto dopo la dipartita dei genitori di Clara, i coniugi Williams. Tuttavia, da quel poco che aveva potuto osservare, la zia non si era occupata troppo né della casa, né dei terreni che la circondavano. L’aveva notato già dalla strada, l’aridità della terra, la trascuratezza dei campi. Anni passati accanto ai suoi familiari e poi a fianco di un industriale le avevano allenato l’occhio per i cattivi affari. Il ricordo di Benjamin che la invitava ad andare insieme in fabbrica, tra la lanuggine e i continui boati delle macchine, la trapassò agrodolce e nostalgico. Nulla sembrava potesse scalfire la loro felicità, allora.

    «Clara! Non startene lì impalata sulle scale!» La voce imperativa della zia, una donna smilza e alta, sempre in grigio, la distolse dai suoi pensieri. L’attendeva, dritta come un fuso, all’ultimo gradino.

    «Eccomi, cara zia.» Le sorrise controvoglia, scendendo con passo sostenuto, per poi seguirla dalla grande sala dai soffitti alti e le pareti lignee alla luminosa sala da pranzo.

    I ritratti di qualche vecchio antenato l’osservavano grevi dalle loro cornici dorate, mentre prendeva posto al tavolo tondo accanto al camino acceso. Il fuoco, scaldandole la schiena, le riservava una piacevole sensazione. Zia Agatha si sedette dalla parte opposta, così da poterla scrutare meglio.

    «Sei magra e il nero non ti dona, ma se non altro almeno in casa eviti quell’assurdo velo» sentenziò, con un braccio richiamò l’attenzione dell’unico cameriere presente a Nightingale House, John Cook, un ragazzotto tutto lentiggini, con la livrea in disordine.

    «Dovresti saperlo che porto ancora il lutto» ribatté secca.

    Zia Agatha alzò gli occhi al cielo, incurante della risposta; il cameriere arrivò e servì il tè a entrambe.

    «La bambina assomiglia molto a Benjamin» commentò la zia, mentre rigirava il cucchiaino nella tazzina blu.

    «Lo so.»

    «Sono contenta che tu abbia deciso di tornare. Nightingale House non era più la stessa senza di te» ammise guardandola finalmente negli occhi.

    Clara sostenne quello sguardo con decisione.

    «Sono tornata per restare» disse in breve, ponendo fine a qualsiasi dubbio.

    Era sicura di voler restare. Decisa come poche volte lo era stata nella sua vita. Aveva l’appoggio dei familiari, come i suoi zii, le sue cugine, la piccola Anne sarebbe cresciuta in campagna, come lei, e così avrebbe avuto un’infanzia felice e spensierata. Era un pensiero che le faceva visita spesso, flebile e rassicurante.

    Quel pomeriggio decise di salire nella torre della biblioteca, costruita ai tempi dei suoi nonni, un’unica stanza sopraelevata rispetto al piano nobile della casa, per sbrigare la corrispondenza con Mr Clark, il marito della cugina, l’avvocato e il notaio che si erano occupati dell’eredità di Benjamin. Aveva aspettato a dare notizia dei propri nuovi recapiti poiché voleva prendersi del tempo prima di tornare alle incombenze quotidiane. Tuttavia, ormai di tempo per riposare ne aveva avuto a sufficienza e abbastanza anche per capire che a Nightingale House qualcosa non andava. Che qualcosa era cambiato da quando l’aveva lasciata dodici anni prima. Di certo sarebbe stato sciocco pensare che tutto rimanesse immutato nel tempo, eppure non era la questione del cambiamento a turbarla, quanto l’idea che tutto stesse andando alla deriva. Non aveva ancora avuto modo di fare un’ispezione per la proprietà ma, già dalla poca servitù e dall’incuria del giardino, si stava facendo un’idea della situazione. Nightingale House era una proprietà abbastanza grande, con numerosi terreni e pascoli attorno, una terra satellite della più ricca e maestosa Landford Abbey, magione estiva del ramo maggiore della famiglia Williams. Quando vi aveva abitato con i suoi genitori, era stata una proprietà fertile, che aveva dato loro grandi soddisfazioni. Clara era cresciuta in contatto con la terra e ne aveva sofferto la lontananza quando, con suo marito, dopo il matrimonio, si erano trasferiti a Manchester. In quel momento, Nightingale le ricordava se stessa in balia dei nefasti eventi dell’anno passato.

    Salì i gradini in legno delle ripide scale a chiocciola in cima alle quali si apriva l’unica porta di accesso alla biblioteca, una stanza stretta, dai soffitti alti e intagliati. Le librerie a giorno in noce, ricolme di libri, erano incassate all’interno delle pareti a cui si alternavano finestre profonde, in quel modo, malgrado il poco spazio, si era ricavato il posto per un piccolo scrittoio e due sedie imbottite. Era il suo posto preferito in tutta Nightingale House. Protetto e isolato, perfetto per passarvi del tempo senza pericolo di incorrere in distrazioni.

    Si affacciò alle anguste finestre, sfiduciata. Anche il giardino, come lei, sembrava aver vissuto periodi migliori. I roseti erano diventati secchi arbusti, l’arco di rampicanti non aveva più forma, solo alcune piante sembravano resistere, tenaci.

    Annotò nella mente che forse era il caso di assumere un giardiniere e del personale in più, dato che al momento era ridotto all’osso: una cuoca, la cameriera personale di Agatha e Cook.

    Clara, turbata, prese posto allo scrittoio e, intinto il calamaio nell’inchiostro, s’apprestò a fare una lista di incombenze e di idee, per poi sbrigare la corrispondenza. Erano settimane che non faceva pervenire sue notizie ai legali e, se voleva restare, doveva poter disporre del proprio denaro liberamente, come da disposizioni testamentarie del marito. In ultimo, non poteva dimenticarsi di scrivere a Mr Moore per riferirgli che era arrivata a Nightingale House sana e salva e che quando si sarebbe sistemata in maniera più stabile lo avrebbe atteso come suo gradito ospite.

    Sobbalzò, all’improvviso, udendo qualcuno bussare alla porta.

    «Mrs Anville?» domandò Gwenda affacciandosi dall’uscio: «Potrei conferire con voi?».

    Clara le fece cenno di entrare.

    «Accomodati, non startene in piedi» le disse, informale.

    La giovane cameriera si diresse verso lo scrittoio e sedette sul bordo della sedia, in precario equilibrio, come se temesse di usurpare il posto a qualcuno.

    «Che succede?» domandò Clara.

    «Signora, sono davvero desolata, non mi permetterei mai di disturbarvi se non fosse importante.» Parlava a voce bassa, con fare meno diretto del solito.

    Clara l’osservò guardinga, gli occhi scuri della ragazza sembravano cupi, preoccupati.

    «Gwenda, ci conosciamo da anni, da prima che io diventassi Mrs Anville, ormai capisco al volo quando qualcosa ti turba. Dobbiamo essere sincere tra noi, sempre.»

    «Mrs Anville è proprio in virtù della nostra conoscenza che vorrei parlare con voi in maniera franca, ma mi è difficile.» Il suo sguardo vagava sugli scaffali delle librerie anziché fissarsi nei suoi occhi. «Sono stata a trovare i miei genitori qualche giorno fa.»

    «Sì, ricordo. Sono in buona salute?»

    «Sono anziani, sebbene ancora in forze. Tuttavia, mentre stavo raccontando del viaggio e del fatto che intendiamo rimanere, è arrivato mio fratello, che, come sapete, insieme alla sua famiglia lavora per voi come fittavolo. Era molto stanco per la giornata, ma era anche molto dispiaciuto perché… perché non viene pagato da più di due mesi e così anche i miei genitori» disse Gwenda con voce incerta.

    «Dici sul serio?»

    «Mrs Anville, la mia famiglia vive e lavora nella vostra proprietà da generazioni, non sarebbero mai capaci di calunniarvi o di insultarvi.»

    Lo sguardo di Gwenda si fece più preoccupato, le guance rosse.

    «Lo so, per questo ti chiedo di essere franca con me.»

    «Mrs Anville vi sarete accorta che Nightingale House non è più come la ricordavamo» rispose l’altra, evasiva.

    «Sì, su questo temo che tu abbia ragione.»

    Clara si alzò e andò alle alte finestre, pensierosa; sentiva gli occhi della cameriera seguirla. Poiché si era rivolta a lei con quell’urgenza, i suoi timori dovevano avere qualche fondamento e, di conseguenza, anche i propri sospetti non apparivano più solo fantasie.

    «L’amministratore è sempre Mr Davis?» domandò, rivolgendosi direttamente a Gwenda.

    La giovane annuì.

    «Gwenda, sii così gentile da organizzarmi un incontro con tuo fratello, ma senza dir nulla a zia Agatha. E poi credo sia arrivato il momento di andare a far visita ai Williams di Landford.»

    Capitolo 2

    Landford Abbey si ergeva, stupenda come nelle sue memorie, immensa nella sua architettura neoclassica, curata nei suoi verdi e rigogliosi giardini. Era strano per lei entrarvi in carrozza, dal cancello principale da cui si apriva un grande viale alberato, anziché arrivarvi a piedi o a cavallo, passando per i viottoli della campagna, attraversando mari di narcisi gialli e campanule blu. Il percorso era più lungo e piacevole, ma, se doveva essere onesta con se stessa, ogni angolo della tenuta era magnifico. Quando il cocchiere si fermò e un cameriere di Landford Abbey le aprì la portiera, si stupì dell’accoglienza formale che le stavano riservando i suoi zii. Tutta la servitù al completo l’attendeva dritta disegnando una V davanti al grande portone dalle rifiniture in ottone.

    Il giovane domestico l’aiutò a scendere, e, non appena Clara poggiò i piedi a terra, suo zio Mr Elmett Williams e sua moglie Olive le vennero incontro. Entrambi indossavano abiti da mezzo lutto in segno di rispetto.

    «Carissima Clara!» esclamò Mrs Williams prendendole le mani.

    «Zia Olive, che piacere rivedervi. Il tempo per voi si è forse fermato?» rispose dolce, stringendo le dita fredde a propria volta. Erano talmente gelate da sentirlo anche attraverso i guanti.

    Mrs Williams emise una risata cordiale. A parte qualche ruga di espressione sul viso asciutto, Olive era ancora una donna molto avvenente, chiara di carnagione e di capelli, mentre gli occhi erano quasi neri.

    «E tu, dolce nipote, sempre troppo gentile.» La voce di Mrs Williams era un po’ tremula.

    Mrs Anville, notando quell’accenno di commozione, la guardò con tenerezza oltre il proprio velo nero.

    «Clara, siamo contenti tu sia tornata» l’accolse lo zio, invitandola a seguirlo con un gesto del braccio.

    Lui, dalla testa ormai quasi bianca e un po’ ricurvo, le parve invecchiato, triste. Non disse nulla, ma, dal suo sguardo vitreo, poté immaginare cosa celasse il suo animo. Clara Anville sapeva quanto lei somigliasse a Richard, suo padre.

    Lasciata la pesante mantella nera al maggiordomo, Clara venne accompagnata dai padroni di casa nel grande salotto del piano terra. Era una stanza magnifica, dai toni caldi del rosa antico dei sofà e dell’amaranto delle pareti. Quei colori facevano risaltare l’oro delle elaborate cornici che ospitavano ritratti e graziose Madonne rinascimentali con bambini. Le ampie vetrate davano sull’immenso giardino alla cui estremità si ergeva un’architettura marmorea che voleva emulare un tempietto alla greca.

    Mrs Williams la esortò ad accomodarsi sul sofà vicino al camino acceso, di imponente marmo bianco, mentre lei e il marito prendevano posto su quello accanto. Olive suonò il campanello dorato, per chiamare il cameriere affinché servisse loro del tè.

    «È sempre bello visitare Landford Abbey, zii» esordì Clara

    «Sei la benvenuta, mia cara» sorrise Olive.

    «Come stai, Clara?» domandò Elmett, preoccupato.

    «Ora che sono tornata a vivere a Nightingale House, molto meglio, caro zio. Vi ringrazio, anzi mi scuso per non essere venuta a porvi i miei omaggi prima. Il viaggio mi ha provato molto, e anche Anne aveva bisogno di riposare.»

    «Figurati, Clara. Non devi spiegare nulla» la rassicurò la zia. «Quanto tempo ha la bambina?»

    «Cinque anni, come il più piccolo di Abigail.»

    «Oh! Abigail! Appena ha saputo del tuo ritorno, ha scritto che sarebbe venuta a trovarci, e anche Eleanor arriverà presto, è ancora ospite di alcuni amici a Londra» spiegò Olive, orgogliosa di entrambe le figlie.

    Il maggiordomo entrò nella stanza, seguito da due camerieri che servirono con movimenti veloci e silenziosi il tè dentro porcellane di fattura cinese. Un servizio di famiglia che Clara conosceva bene, perché Eleanor aveva rotto una tazzina durante uno dei loro appuntamenti pomeridiani e aveva cercato invano di convincere la madre della propria innocenza. Il fugace ricordo la intenerì.

    «Sarò molto felice di rivederle entrambe. Nell’ultima lettera, se non sbaglio, Abigail ha menzionato che è di nuovo in dolce attesa» affermò Clara, non appena il personale ebbe lasciato il salone.

    Abigail Clark era forse la donna più fertile del Regno: continuava ad avere figli, uno dietro l’altro. Prima di avere Anne, Clara aveva ammesso in lacrime al marito che l’invidiava in maniera viscerale, perché loro continuavano a provare, ma il suo grembo rimaneva un guscio vuoto e ogni mese i dolori mestruali le si ripresentavano puntuali, ricordandole che il tempo passava inesorabile.

    «Sì, il termine sarà fra qualche mese.»

    «Bene» tentò di sorridere, anche se sentiva solamente tirare le labbra. «Mi sono mancate tanto, Abigail e Eleanor, e anche voi, adorati zii. Non ci vediamo dai funerali di Benjamin.»

    «È terribile ciò che ti è successo, Clara» s’intromise lo zio Elmett. «Perdere entrambi i genitori, per un’incidente talmente assurdo, e dopo pochi anni tuo marito.»

    L’uomo scosse la testa.

    «Mancano molto anche a me» ammise Clara.

    «Non c’è giorno in cui non pensi al mio povero fratello» farfugliò lui, cercando un fazzoletto nella tasca della giacca grigia. «Vogliate scusarmi, davvero» aggiunse alzandosi e allontanandosi verso le grandi finestre.

    Olive arricciò il naso, poco amante della sensibilità ostentata.

    «Oh, Elmett! Non vedi che è già abbastanza provata? Cerca di essere di supporto!» lo rimproverò.

    Clara appoggiò la tazzina sul tavolino e lo raggiunse. «Ce la faremo, caro zio, passerà anche questa tempesta» lo incoraggiò.

    Elmett la scrutò, tratteneva a stento le lacrime: «Per fortuna hai preso il suo senso pratico.»

    Entrambi tornarono al sofà e il resto del pomeriggio passò più sereno, mentre si raccontavano le novità e rammentavano vecchi aneddoti. La conversazione si fece vivace e Clara, accolta da quelle risate e chiacchiere, si sentì finalmente a casa. Quando il sole iniziò a tramontare, decise che era meglio rientrare, così da poter mettere a letto Anne. I Williams l’accompagnarono fino alla carrozza.

    «Sono felice che tu sia tornata, Clara» le mormorò lo zio. «Agatha non ne vuole sapere di lasciare Nightingale, sebbene abbia insistito più volte affinché venisse a vivere con noi.»

    «È testarda e abitudinaria.»

    «Riusciresti a occuparti di lei?» domandò, preoccupato.

    «Mi occuperò di tutto, zio. Di zia Agatha e di Nightingale» rispose, rassicurandolo. Elmett però le rivolse uno sguardo interrogativo.

    «Di Nightingale?» ripeté Olive. «Clara, sei certa che sia l’occupazione appropriata per te?»

    «Perché non dovrebbe? Papà ha lasciato a me la tenuta.»

    «Elmett, ti prego di farla ragionare.»

    A quelle parole fu Clara a rimanere interdetta; non comprendeva perché sua zia fosse così restia a lasciare che amministrasse Nightingale da sola, dopotutto nessuno dei due si era fatto scrupoli ad abbandonare là zia Agatha in tutti quegli anni.

    «Te la senti di prenderti carico di tutto? Davis mi ha detto che ha avuto delle rogne con alcuni fittavoli… Nightingale è tua, come ha voluto tuo padre, ma se pensi di non riuscire, dato che sei stata via per tanto tempo, capirei se volessi un aiuto, oppure lasciare che siano altri a occuparsene…» Elmett era come suo padre, tendeva sempre a divagare, tuttavia, sentendo la sua apprensione, non poté far altro che tentare di fare appello al loro legame di sangue.

    «Oh, suvvia zio Elmett! Sono pur sempre una Williams, anche se ho vissuto quindici anni a Manchester. Nightingale è tutto ciò che mi rimarrà quando zia Agatha se ne sarà andata, ed è l’unico posto in cui possa vivere ora che mio marito non c’è più. Devo pensare al mio futuro e a quello della bambina.»

    «Davis ti sarà di aiuto» affermò lui, quasi a voler rassicurare se stesso.

    «Suppongo di sì…» ribatté, laconica.

    La situazione non la convinceva per nulla.

    «Scrivimi nel caso non fosse così, ti farò avere l’aiuto di cui hai bisogno» concluse Elmett Williams, quasi avesse intuito il suo turbamento.

    Clara lo ringraziò dal profondo del cuore, e si salutarono non appena Elmett le porse la mano per farla salire sulla carrozza. Sulla strada per Nightingale, osservò la propria terra scostando un po’ la veletta. Il tramonto la colorava di verdi, gialli, marroni intensi, ma se desiderava davvero che fiorisse, che prosperasse, sentiva che doveva fare molto di più che parlare con i fittavoli.

    Capitolo 3

    Andare a trovare i Murray era una buona occasione per dare un’occhiata in

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