Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì
By Ana Escudero and Belén Escudero
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About this ebook
Questo romanzo è il seguito di Solo Peter, il primo romanzo che ho scritto frase per frase insieme a mia sorella Belén. In esso viene presentato Alexis, il figlio di Peter e Vivian. A sei anni, l'unica preoccupazione di Alexis è inventare nuovi giochi e divertirsi con il suo cane Sultán nella città di Mobile. Tutto il suo mondo crolla quando cade nelle mani di due personaggi enigmatici. La sua scomparsa scatena una storia appassionante in cui gli avvenimenti si susseguono a un ritmo vertiginoso. Peter e l'Esattore si lanciano in una ricerca folle, mentre la giornata avanza inesorabilmente. Riusciranno a trovare quello che cercano prima che si faccia buio?
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Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì - Ana Escudero
Ana Escudero
Belén Escudero
NON ANDARE MAI
DAL DENTISTA DI LUNEDÌ
Prima edizione: febbraio 2020
© 2020 Ana Escudero Canosa
© 2020 Belén Escudero Canosa
© Non andare mai dal dentista di lunedi
Registrato in Safe Creative: 1804076483175 - Tutti i diritti riservati
Immagini della copertina: licenza Creative Commons
Origine delle immagini: Pixabay
Autori delle immagini originali: Mysticsartdesign, martaposemuckel.
Traduttore: Aliki Zanessis
I - La messa in moto
— Peter, ricordati che oggi devi portare Alexis dal dentista.
Peter annuì con la testa, anche se non ne aveva nessuna voglia.
— E non dimenticare di passare dal supermercato a comprare il cibo per Sultán — continuò a dare istruzioni Vivian.
Peter lanciò un'occhiata al suddetto, che stava riposando vicino al camino. Non si mosse, fece solo un lieve movimento con le orecchie sentendo la parola cibo.
— Tu dove andrai, Vivian? — chiese, anche se sapeva già la risposta.
— Sai già che ho delle faccende da sbrigare, dei debiti da riscuotere. A proposito, quando mi restituirai tutto quello che mi devi ancora? Gli anni passano e gli interessi aumentano.
— Ma non era già stato tutto pagato? — chiese Peter.
— Perché ci siamo sposati?
— Sì, non era questo il patto?
— Davvero? Non mi ricordo. Comprendimi, il nervosismo per il matrimonio mi ha obbligato a dire cose che non pensavo davvero.
Peter si ricordò di quel giorno, era passato tutto così velocemente, lui credette che l'avrebbero ucciso.
Vivian si alzò dalla sedia, si avvicinò a Peter, gli diede un bacio per poi rivolgersi a suo figlio, che stava giocando con Sultán tirandogli le orecchie.
— A più tardi — salutò —. E non fate tardi, Peter. Non ho intenzione di cambiare l'ora un'altra volta.
Peter vide che sua moglie se ne stava andando e non gli fece pena, era prepotente e lui faceva fatica a condurre una vita con così tante regole. Era contro il suo modo di essere.
— Alexis, vai a vestirti e non dimenticare di prendere la felpa, sennò la mamma ti rimprovererà se rovini i vestiti. Quando usciremo dal dentista, andremo dove vorrai.
— Sì, paparino. Dove vorrò, vero?
— Sì, ovunque. — Secondo Peter si sarebbe meritato una ricompensa per essere andato dal dentista.
Venti minuti dopo tutti e due uscirono dalla porta accompagnati da Sultán.
Lo studio del dentista non era vicino, c'era da camminare per più di mezz'ora, quindi Peter commentò:
— Ti va di prendere l'autobus, Alexis?
— Sì! E Sultán?
— Sultán viene con noi, è chiaro.
Alexis rimase a pensare, c'era qualcosa che non gli quadrava, ma decise di dare retta a suo papà. Tutti e tre si avviarono verso la fermata dell'autobus. Peter e Alexis erano davanti, invece Sultán, in retroguardia, più che camminare sembrava che si trascinasse.
Mentre stavano arrivando, Peter osservò che c'erano parecchie persone ad aspettare l'autobus.
— Non mi piace andare a piedi — disse —. Vieni, Alexis. Saliremo per primi.
Sultán scosse la testa e abbaiò in segno di disapprovazione, ma non fece nient'altro, non aveva più l'energia di prima.
Da lontano apparve un autobus, mentre una macchina lo stava sorpassando con destrezza. Il semaforo rosso diede il tempo a Peter di arrivare e sistemarsi.
La macchina si fermò e il conducente suonò il clacson un paio di volte. Quasi tutti lo guardarono. Sultán abbaiò allegramente e Alexis applaudì, mentre Peter guardava spaventato il conducente.
— Salve, salite? — invitò.
— Non ce n'è bisogno, possiamo cavarcela benissimo con il bus — rispose Peter.
Il bus avanzò e diverse persone richiamarono la sua attenzione affinché si fermasse. Peter strattonò suo figlio, mentre chiamava Sultán e si dirigeva verso l'autobus pronto a salirci. Ma Sultán non si mosse, stava comodamente seduto sul sedile posteriore della macchina.
— Papi, guarda Sultán. È salito sulla macchina di quel tizio — commentò Alexis spiegando quello che era evidente.
Peter si girò per verificare quello che aveva detto suo figlio, mentre l'autobus si fermava.
La gente iniziò a salire, alcuni colpirono lievemente quelli che avevano di fianco con l'idea di salire per primi per riuscire a trovare un posto libero.
Appoggiato sul cofano, l'Esattore arrotolò una sigaretta aspettando che Peter si decidesse.
— Se ci pensi tanto, arriverete tardi al vostro appuntamento — disse l'Esattore.
— D'accordo, ma guido io.
L'Esattore fece una battuta come solo lui sapeva fare, con una risata tenebrosamente oscura che scosse nel profondo Peter.
— Sto per prendere la patente — protestò senza far notare che era il suo ventesimo tentativo.
L'Esattore rise di nuovo, se quello che emetteva poteva chiamarsi risata.
— Dai, sali. Guarda, tuo figlio è già di fianco a Sultán.
— Papà, sali, altrimenti la mamma si arrabbierà di nuovo con noi — disse Alexis.
Salirono tutti e due e l'Esattore mise in moto la macchina.
— Dove andiamo? — chiese.
— In via dell'Arrivista, 150.
— E cosa andate a fare là?
— Lo sai già, andiamo dal dentista.
— Io? Come faccio a saperlo, fratellino?
— Mi sa che stai invecchiando. L'Alzheimer ti sta facendo dei brutti scherzi.
— Come sei spiritoso, fratellino! Ti piacerebbe che io perdessi la memoria.
— Mi preoccupo per te. Sono un sacco di anni che ci conosciamo. Quanti anni hai?
— Quarantadue, direi.
— Solo? Sembri più vecchio. Questo tuo lavoro ti fa invecchiare velocemente — commentò Peter —. Guardami, di recente ho compiuto trent'anni e guarda che pelle — concluse.
— Sì, sei ancora un bambino, fratellino. Bene, sarà meglio che ci mettiamo in moto, altrimenti tua moglie darà una lavata di capo a tutti e due. — E l'Esattore girò il volante della macchina, pronto a introdursi nel traffico.
Più si avvicinavano alla meta, più Peter si agitava, mentre Alexis si divertiva a guardare le macchine.
— Senti, una domanda. Come ti chiami? Esattore? Zio? Quando ti nomina, mio papà dice quello
o altre parole che la mamma dice che non devo ripetere a voce alta.
— Ha, ha, ha — rise l'Esattore —. Mi puoi chiamare Esattore, come tutti.
— Ok, zio Esattore.
— Perché vai dal dentista, Alexis?
— Mia mamma dice che è perché ho mangiato troppe caramelle. Dice anche che è colpa di papà.
— Quanti anni hai?
Alexis sollevò una mano e distese le cinque dita, poi sollevò l'altra mano e ne distese uno.
— Sei. Ma hai ancora i denti da latte. Dai retta a tua madre, Alexis.
— Non capisco, zio. Che vuoi dire con questo? Io obbedisco sempre alla mamma. È la mamma che comanda in casa.
— A proposito, sei molto elegante vestito così — lo complimentò, poiché poteva vederlo in parte, dato che il bambino aveva la chiusura lampo della felpa aperta a causa del caldo che regnava nella macchina dell'Esattore.
— Grazie. Sono Eridanus — disse senza sapere cosa stava dicendo, ma orgoglioso di ricordarsene.
Peter non stava ad ascoltare, aveva la testa altrove, molto lontano da lì. Come sarebbe stato felice su una spiaggia della California!
— È quell'edificio lì? — chiese l'Esattore senza ottenere risposta —. Peter, Peter, Peter!
— Eh? Che succede?
— Dov'eri? Ti sto chiedendo se è lì — disse indicando un immobile con su scritto Clinica Dentale.
— Non lo so, non ho mai guardato fuori e non ho fatto caso alla strada che abbiamo fatto.
— Non so perché sto a chiedere — disse a se stesso l'Esattore. Aguzzò la vista per leggere il numero.
Scesero tutti dalla macchina, dato che era l'indirizzo giusto.
— Puoi andare. Ciao, Esattore.
— A presto, fratellino. — Qualche secondo dopo svoltò l'angolo con la sua macchina.
Molto triste, Sultán vide la macchina allontanarsi e poi andò alla porta dell'edificio.
Padre e figlio si diressero alla clinica dentale. Il padre, trascinando i piedi e il figlio, era allegro e saltellante.
II - La clinica dentale
La receptionist fece una faccia spaventata quando li vide entrare e prese velocemente il telefono.
— Dottore, ho bisogno di lei qui fuori — disse la receptionist e allo stesso tempo infermiera della clinica dentale —. Non ci crederà quando lo vedrà.
— Che succede, Xenia?
— È arrivato il paziente delle nove con suo padre.
Il dottore guardò sulla sua agenda chi era il paziente delle nove e anche lui si spaventò, ma finse di essere tranquillo.
— Puoi farli passare, Xenia.
— Tutti e due?
— Sì, Xenia. — E poi aggiunse, sebbene più per se stesso —. Che sia quello che Dio vuole!
— Buongiorno. Il dottore dice che può entrare.
Peter guardò in direzione della porta con l'orrore negli occhi.
— Andiamo, papà — disse Alexis tirandolo.
Lui era un codardo? Poteva mostrarsi così davanti a suo figlio?
Il dottore uscì per venire loro incontro e, prendendo per mano Alexis, disse:
— Andiamo, giovanotto, vedrai che finiremo presto. — E rivolgendosi a Peter —. Entriamo?
Peter tentennò, si sentiva male.
Il dottore osservò che Peter stava diventando sempre più pallido. Temette che sarebbe svenuto o, peggio ancora, che avrebbe vomitato proprio lì.
— Xenia, indica al signore dove sono i bagni.
Ma Peter non fece niente. Iniziò a respirare come se gli mancasse l'aria, boccheggiando come un pesce fuor d'acqua.
— Sto bene — disse Peter, sebbene fosse evidente che stava mentendo.
— Si sieda un attimo — disse il dottore accompagnandolo a una sedia —. Ora respiri piano. Inspiri, espiri...
Peter inspirò ed espirò come gli venne indicato dal dentista, di fronte allo sguardo attonito di Alexis, che, dopo aver riflettuto qualche secondo, si sedette al fianco di suo padre pronto a imitarlo.
— Xenia, accompagna il bambino dentro e inizia a preparare le cose — disse il dottore —. Così, molto bene. Inspirare ed espirare.
— Per quanto tempo? — chiese tra le inspirazioni.
— Finché lo dico io. Se si sente già bene, si alzi ed entriamo. Presto verrà il prossimo paziente.
La porta d'ingresso si aprì, facendo passare una signora di mezza età, che, guardando lì dove si trovavano il dottore e Peter, rimase in attesa.
— Buongiorno, signora. Ora viene l'infermiera e le prende i dati.
La signora, che aveva una guancia più gonfia dell'altra, annuì con un movimento della testa e rimase in attesa, mentre vedeva sparire dietro una porta il dottore e il suo accompagnatore.
Alexis era comodamente seduto sulla sedia con il bavaglio e l'infermiera aveva appena finito di organizzare tutti gli strumenti.
— Bene, Alexis, vediamo questa bocca. Hai qualche fastidio?
— No.
— Meglio. Ora apri la bocca e verificherò che sia tutto a posto.
Alexis obbedì e il dentista verificò che andasse tutto bene.
Il dentista iniziò a controllare la bocca di Alexis, cominciando dalla mascella inferiore e continuando con quella superiore fino a concludere l'ispezione visiva.
— Ho visto qualcosa — disse tra i denti —. Sicuro che non fa male qui? — chiese mentre picchiettava uno dei denti inferiori.
— A volte, ma a papà fa male. Si lamenta sempre.
— Io? Io! Non sono un piagnucolone! — si lamentò Peter gridando.
— Papà, non bisogna mentire.
— Cosa? Sono un bugiardo? È quello che pensi di me?
— No, papà, ma perché non dici al signor dentista qual è il molare che ti infastidisce tutti i giorni?
— Non è niente, solo un leggero fastidio, passerà.
— Papà, tu che sei scappato da un orco, hai vissuto con sette giganti e conosci una strega, non ti farai spaventare da un dentista, vero?
— Non ti ho ancora spiegato — scherzò Peter, ma tacque cambiando idea —. Alexis, sta' zitto, altrimenti il dottore non può lavorare.
Il dottore, che non si era perso nessun dettaglio della conversazione, disse:
— Sì, finiamo con te, Alexis. Poi le posso dare un'occhiata — disse rivolgendosi a Peter.
— Finiamo con...? Cosa farai a mio figlio? Assassino! — esclamò Peter con le nocche sui fianchi.
— Mi faccia il favore di non gridare. Questa è una clinica prestigiosa. L'unica cosa che devo spiegare è che presto inizieranno a cadergli i denti da latte e a comparire quelli definitivi. E adesso si accomodi e si sieda qui — disse quest'ultima cosa in modo autoritario.
Peter obbedì e si sedette sulla poltrona con la schiena dritta, tesa.
— Apra la bocca.
Peter separò lievemente le labbra lasciando in vista parte dei denti.
— No, papà, così — disse Alexis aprendo la bocca completamente.
Peter, imitando suo figlio, separò ancora di più le labbra per poi mostrare le gengive e parte della lingua.
Il dottor Bisturi avvicinò il riflettore per poter osservare bene l'interno della bocca. Verificò i denti uno a uno, gettando aria con il compressore ogni volta che vedeva qualcosa di sospetto. Il molare cariato apparve davanti ai suoi occhi. La faccia del dottore espresse sorpresa pensando al dolore che aveva sopportato, e ancora di più sapendo chi era Peter, che conosceva perfettamente non solo come paziente, ma anche perché l'aveva frequentato in alcune riunioni sociali.
— Questo richiede abbastanza lavoro — disse a se stesso e poi guardò l'orologio sul muro, che segnava le dieci meno venti —. Ora le addormenterò la zona affinché non senta dolore.
— Non ce n'è bisogno — disse Peter facendo cenno di alzarsi —. Dobbiamo andare.
— Le consiglio di non andare. Ora possiamo ancora salvare questo elemento, ma se lo lascia per più in là, dovrò sicuramente estrarlo — commentò il dottore.
Nel giro di pochi secondi Peter si immaginò torturato da un dentista che gli strappava il molare, ma fu la presenza di suo figlio che lo fece accomodare di nuovo sulla poltrona.
— Faccia quello che deve fare — disse con