About this ebook
Day Leclaire
Autrice americana creativa e versatile, ha scoperto in tenera età la sua passione per la scrittura.
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Book preview
Fuga proibita - Day Leclaire
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Forbidden Princess
Silhouette Desire
© 2007 Day Totton Smith
Traduzione di Roberta Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3053-139-0
Frontespizio. «Fuga proibita» di Leclaire Day1
Merrick Montgomery studiò la donna a cui stava per rovinare la vita... e che, per contro, avrebbe potuto distruggere la sua.
Alyssa Sutherland era straordinaria, concesse; sensuale, anche nell’abito da sposa color argento che indossava. Aggiustò il binocolo per avere una visuale migliore. Sedeva immobile mentre un gruppo di donne le svolazzava intorno come uno stormo di farfalle colorate. I suoi lineamenti si avvicinavano alla perfezione più di quanto un uomo potesse desiderare e la sua figura, per quel poco che si poteva intuire, sembrava in grado di innalzare il desiderio a un picco febbrile. I raggi di sole rilucevano sui suoi capelli biondi, tingendoli di una sfumatura più calda.
Provò la potente e inspiegabile tentazione di spogliarla, per vedere se il corpo rispecchiava la perfezione di quel viso. Non che avesse molti dubbi in proposito: tale è il dono che la natura regala a certe donne, una calda bellezza mozzafiato accompagnata da un carattere freddo e avaro. L’unica incertezza poteva riguardare la costituzione: avrebbe scoperto la figura di una dea, i fianchi un rigoglioso santuario di femminilità? Oppure quel vestito celava una corporatura più minuta, quasi da ragazzo, di quelle che a letto sono sinonimo di flessibilità ed energia?
Non aveva importanza. Si era venduta a Brandt von Folke, che le aveva forzato la mano.
«Merrick.»
La voce che gli sussurrò nell’orecchio lo riportò alla realtà facendogli serrare la bocca. Aveva permesso alla Sutherland di distrarlo dal proprio obiettivo e questo lo innervosiva. Non gli era mai successo prima, neppure una volta in tutti gli anni passati a capo del Corpo Reale di Sicurezza. Ma questa donna... La scrutò ancora una volta, classificando l’intensità di quel fascino come un ulteriore ostacolo. La sua bellezza sarebbe stata un problema: non passava inosservata e avrebbe attirato attenzioni indesiderate sulle sue azioni, cosa che doveva evitare a ogni costo.
Fissando attentamente attraverso il binocolo, contò le otto guardie che proteggevano l’obiettivo, sei chiaramente visibili e due ai lati della porta della cappella. Controllò l’orologio e fece un cenno agli uomini che lo accompagnavano. Avrebbero agito nel giro di dieci minuti.
Quindi riportò l’attenzione sul viso di porcellana della Sutherland: sarebbe potuta essere morta, a giudicare dall’emozione che dimostrava. I suoi occhi erano rivolti al suolo, e Merrick non poté fare a meno di chiedersi cosa le stesse passando per la testa; poi colse un tremore nella sua bocca: era nervosa, forse? Aveva dei ripensamenti? No, mai e poi mai. Non quella donna. Una preghiera di ringraziamento per l’imminente trionfo? Ecco, questo era già più probabile.
Serrò le labbra. Prega, Alyssa. Prega finché puoi. Tuttavia, non le sarebbe servito a niente. Entro pochi minuti l’avrebbe catturata; avrebbe fatto tutto ciò che era necessario perché quella giornata si concludesse in modo molto diverso da come lei aveva previsto.
«È ora» annunciò. «Qualsiasi cosa accada, dobbiamo assicurarci che quella donna non sposi Brandt von Folke. Chiaro?»
Non attese la risposta. I suoi uomini erano stati scelti con molta cura, e avrebbero obbedito agli ordini senza domande né esitazioni. Le sue ragioni erano incontestabili: stava per fare la cosa sbagliata per il motivo giusto. Avrebbe rapito la promessa sposa di un altro uomo per la più nobile delle cause.
Alyssa Sutherland sedeva in silenzio in mezzo a un mare di caos.
Dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non saltare in piedi e gridare alle donne che la circondavano di lasciarla sola, di concederle due minuti perché potesse stare tranquilla e riprendere fiato; perché potesse permettersi il lusso delle lacrime o di un attacco isterico o anche solo di chiudere gli occhi per fuggire in una breve, beata fantasia dove qualcuno sarebbe arrivato a salvarla da quell’incubo.
Non che ci fosse la benché minima, remota possibilità che ciò accadesse. Gli eventi dell’ultima settimana si erano succeduti a un ritmo serrato e non aveva avuto un solo minuto per ritrovare l’equilibrio. Non un solo momento per pensare. Né per lottare, o negoziare, o protestare o supplicare. O scappare. Semplicemente le era stato detto cosa fare e ci si aspettava che obbedisse senza discutere.
E lei lo aveva fatto, anche se andava contro ogni istinto e ogni aspetto della sua personalità. Sfortunatamente, non aveva avuto scelta.
«Principessa Alyssa, è il momento.» La donna si era rivolta a lei in inglese, anche se con un lieve accento locale. D’altra parte, tutte le persone che aveva incontrato fino a quel momento parlavano un inglese fluente quanto la loro lingua madre. «Dovete recarvi nella cappella.»
Rivolse alla donna - Lady Bethany Qualcosa, ricordò - una breve occhiata. «Mi chiami pure Alyssa. Non sono una principessa.»
«Sì, Vostra Altezza.»
Alyssa chiuse gli occhi in preda alla disperazione. Abbassando il capo, lottò per mantenere la propria compostezza. Le tremava il labbro, ma non era in grado di controllare anche quel movimento istintivo. «Ho bisogno di un momento» sussurrò.
«Mi dispiace, Vostra Altezza. Non è possibile.»
Quante volte nell’ultima settimana aveva avuto la stessa risposta? Troppe. Sempre con educazione, sempre elaborata con la massima attenzione e considerazione, e sempre con lo stesso messaggio implicito: per niente al mondo ti verrà concesso un singolo momento di solitudine. Sarai guardata a vista ogni secondo di ogni ora di ogni giorno. Eppure...
La chiamavano Principessa Alyssa. Si inchinavano davanti a lei, le facevano la riverenza e la trattavano come se fosse fatta di vetro soffiato e altrettanto fragile. Il loro rispetto non era una finzione, intuiva una sincerità di fondo che non poteva essere fraintesa. Per la prima volta in più di una settimana, provò una scintilla di speranza: forse avrebbe potuto sfruttare la loro deferenza a proprio vantaggio.
Facendo un profondo respiro, sollevò il mento e fissò Lady Bethany con uno sguardo di acciaio. «Ho bisogno di restare sola un momento.»
Lady Bethany cominciò ad agitarsi, rivolgendo occhiate nervose alle proprie spalle. «Non penso...»
«Non le sto chiedendo di pensare. Le sto dicendo che ho bisogno di restare sola per cinque minuti, prima di fare il mio ingresso. Ho bisogno di... riordinare i pensieri. Per prepararmi alla cerimonia in modo da non deludere...» Deglutì, sforzandosi di parlare attraverso il nodo che le stringeva la gola. «... il mio futuro marito.»
L’agitazione di Lady Bethany aumentò ulteriormente. «Non penso che Sua Altezza approverebbe. Ha ordinato - richiesto - che restassimo con Voi in ogni istante.»
«La guardia provvederà alla mia sicurezza» insistette Alyssa, fiutando la vittoria.
«Ma Sua Altezza...»
«Sono sicura che Sua Altezza concorderebbe che fosse soddisfatto ogni mio desiderio, il giorno del mio matrimonio.» Infuse alla propria voce una sfumatura di altezzosità regale, anche se non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire. «Perché non mandiamo a chiamare il Principe Brandt e scopriamo chi ha ragione?»
Evidentemente aveva trovato la strada giusta e il suo bluff funzionò. Lady Bethany impallidì e barcollò indietro di un passo, rivolgendole un’affrettata riverenza. «Non sarà necessario, Vostra Altezza. Chiederò alle guardie di scortarvi alla cappella quando sarete pronta. Cinque minuti potranno essere sufficienti?»
Cinque minuti. Cinque brevi, preziosi minuti. Come poteva prepararsi a ciò che l’aspettava in così poco tempo? Chinò il capo. «Andranno bene, la ringrazio.»
Il gruppo di dame e damigelle si affrettò a ritirarsi, borbottando qualcosa nella lingua madre di Verdonia, una lingua che Alyssa non comprendeva, il che la poneva in una posizione di netto svantaggio. Inspirando profondamente, si alzò e lasciò il cortile per inoltrarsi nel giardino. La più massiccia delle guardie la seguì a debita distanza, in modo che non si sentisse pressata, e andò a posizionarsi in un punto in cui poteva tenerla d’occhio senza essere d’intralcio. Alyssa raggiunse la panca di pietra più lontana dalla cappella e da tutti gli occhi indiscreti e vi si sedette.
Quel mattino aveva piovuto, ma ora tra i rami delle querce filtravano sparuti raggi di sole che le riscaldavano la pelle gelata. Non molto tempo prima aveva scorto un barlume di arcobaleno, un segno, le aveva sempre ripetuto la madre, che le cose sarebbero presto migliorate.
«C’è una pentola d’oro che ci aspetta laggiù, piccola Ally» aveva sempre raccontato Angela Barstow. «E uno di questi giorni, la troveremo.»
«Non questa volta, mamma» sussurrò Alyssa tra sé.
Questa volta non sarebbero potute fuggire dai problemi. Nessun nuovo inizio, nessun nuovo patrigno. Niente più fughe in piena notte, nessun’altra città da abbandonare. Questa volta il guaio era troppo grande per poter scappare.
Lottò contro l’insorgere di un’ondata di panico; non aveva molto tempo per ristabilire il controllo delle proprie emozioni. Fece un profondo respiro, riempiendo i polmoni dell’aria primaverile che permeava quel poco che aveva visto del Regno di Verdonia.
In un’altra situazione, in altre circostanze, sarebbe rimasta incantata dalla bellezza del piccolo paese europeo. Ma era tutt’altro che incantata, in quel momento: era sola e spaventata e disperatamente alla ricerca di un modo per svegliarsi da quell’incubo.
Se solo non si fosse precipitata a salvare Angela da quell’ultima catastrofe. Ma la raccomandata in cui la supplicava di aiutarla, con incluso il biglietto aereo per Verdonia, era stata troppo allarmante per ignorarla. Così Alyssa aveva rimandato il primo giorno di lavoro nell’ultimo posto che aveva ottenuto ed era volata in aiuto di sua madre. Non avrebbe potuto prevedere che sarebbe stata prelevata all’aeroporto, trasportata nelle lande selvagge di Verdonia e costretta con la forza a un matrimonio di convenienza, con la minaccia che, se si fosse ribellata, a sua madre sarebbe capitato qualcosa di terribile.
In qualche modo era stata risucchiata in un vortice politico che non riusciva a comprendere. Angela aveva cercato di spiegarle, ma non c’era stato tempo a sufficienza. Da quella frenetica e penosamente breve conversazione, Alyssa aveva saputo che tutti la credevano una principessa, e che la sua unione con Brandt von Folke avrebbe ricomposto due dei tre principati. Era un errore clamoroso, eppure si era ritrovata al centro del putiferio ed era stata informata che, se non avesse pronunciato il fatidico Sì, lo voglio, la madre ne avrebbe pagato le conseguenze.
«Chiedo scusa, Vostra Altezza. È ora.»
Alyssa aprì gli occhi e fissò la robusta guardia che incombeva su di lei. Il panico le serrò la gola. «Di già?» replicò.
«È ora» ripeté l’uomo, anche se lei colse una punta di simpatia nella voce brusca e nei gentili occhi marroni.
Prima che potesse supplicare di avere un altro istante, sentì nell’aria un lieve ronzio che le sfrecciò accanto come una zanzara affamata. Sul viso della guardia comparve una strana espressione, come se anche lui avesse sentito l’inusuale rumore. Subito dopo, però, l’uomo emise un suono soffocato e si portò la mano al collo, prima di crollare per terra come un sasso. Con una esclamazione di orrore, Alyssa schizzò in piedi.
Aveva fatto solo un passo,
