About this ebook
Il libro parla della storia di uno stranierio che arriva a Ciego Montero con la doppia intenzione di terminare di scrivere un libro e investigare sulla vita di suo padre, che secondo le sue poche conoscenze è cubano. Lo straniero Elliot Kleinn conosce Ana, una ragazza semplice che vive con il marito nella casa dove ha trovato alloggio, e s'innamora di lei. Ana sogna Parigi e Kleinn la sorprende con i suoi racconti. La ragazza, annoiata e stanca del maschilismo del marito, non tarderà molto a concedersi allo straniero. Il marito di Ana, geloso e sospettoso, li sorprende nel bel mezzo del tradimento, o come direbbe Shakespeare, facendo la bestia a due groppe. Fine del racconto. Visto così, l'argomento sembrerebbe rassomigliarsi a tanti altri melodrammi con una fine tragica e prevedibile. Solo che è in questo dove si può trovare la prima differenza, qua niente sembra essere quello che è.
Alejandro Cernuda
Alejandro Cernuda (1972), è nato a Cienfuegos, Cuba. Nell'anno 2008 vince il premio Fundación de la Ciudad de Santa Clara con il romanzo Enamorarse de Ana, libro che due anni più tardi fu insignito del premio La Puerta de Papel. Nel 2010 riceve il premio Oriente con il libro di racconti Problemas del Arte Figurativo. Vive a Madrid dal 2013. Ha pubblicato in diverse riviste e antologie; e partecipato a cicli e conferenze sulla letteratura latinoamericana.
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Book preview
Innamorarsi di Ana - Alejandro Cernuda
Enamorarse de Ana
––––––––
Alejandro Cernuda
Copyright © 2009 Alejandro Cernuda
Todos los derechos reservados.
http://acernuda.com
ISBN-13: 978-1496185228
Premio literario Fundación de la Ciudad de Santa Clara 2008
Premio La Puerta de Papel 2010
I
Disse che era illegale, mi strinse le gambe e cademmo: illegale come salire sull’autobus dalla porta posteriore o spacciare cocaina. Quasi dissanguato e con la stessa arroganza di quando ci eravamo conosciuti quindici giorni fa sul treno. La sfortunata coincidenza di un bosniaco e un cubano seduti vicino e scoprire che entrambi andavamo a Ciego Montero. La trappola di credere che avessimo qualcosa da raccontarci solo per il fatto di vivere in posti così diversi, la curiosità di capire di cosa avesse bisogno dalla mia gente. Sederci vicini, ringraziando che avesse questo spagnolo dalla domanda diretta, e dopo avvertirlo celato nelle sue risposte per non mostrare le sue intenzioni. La stessa poetica di stanotte, come se fosse estraneo alla morte e un suo simile giocasse con le vibrazioni quasi comiche provocate dagli spasmi prodotti dal graffiare la terra con i talloni o allungando le gambe. Pentito di essere andato a letto con Ana, o perlomeno volle lasciar intendere che nel suo gergo, chiamava illegalità il sesso con una donna indegna. Sebbene non avesse chiesto scusa con una frase concisa, forse la sua confessione era come i suoi sussurri mattinieri in latino e quella fastidiosa insonnia che mi provocava nell’ ascoltarlo leggere.
Le altre parole si affogarono nel vomito, sputó rosso sulle mie scarpe e faceva rumori d’asma. Senza dubbio avevo capito: aveva citato Parigi e chissá quant’altre bugie. Nel delirio successivo, la sua bocca si riempiò di sangue e finalmente si zittì.
Lo uccisi, però gli avvocati non ce la sbrighiamo con coltelli né ci innamoriamo di donne come Ana.
Chi se l’avrebbe immaginato il giorno prima. Anche adesso, lo guardavo per abituarmi all’idea che era morto per colpa mia: quella pazza corsa per la campagna, due colpi e una pugnalata. E cadere sulla merda delle vacche.
Stanco di seguirlo, con questa morbosa sensazione di tenerlo là, nudo, notando solamente il peso del suo corpo e io privo di alcun dolore.
Può essere che con il sangue caldo non sentissi il dolore del pezzo di carne che mi strappò con un morso al collo.
L’alterco aveva zittito i grilli e non si sentiva più niente, a parte i goccioloni sulle pozzanghere e il latrato del cane dal portone della casa di Caridad.
Kleinn rimase in ginocchio, con la testa tra le mie gambe, come due omosessuali stanchi di possedersi sull’ erba del campo; passate le dodici...sembrava tardi per colpa del vento sulla fila di pini.
Lo stesso suono del fischio successivo all’inno nazionale al termine dei programmi in televisione.
Quanto tempo prima di sentirmi il piede nel fango o le zecche che mi lasciavano morsi nelle braccia e capire che il cane non stava più abbaiando nel portone di Caridad.
Sentii che l’avevo ucciso senza capirne il perché. Mi faceva schifo tutto quello che toccava, sì, però questo non era un buon motivo per ammazzare qualcuno.
Non mi ricordo perché ritornai se Ana non era che una puttana che mi riempiva di carezze e intrugli vari per riconglionirmi, solo per non tornare alla muffa del Nuevo Amanecer.
Era insopportabile ogni volta che mi vedeva ubriaco o mi dava la colpa con qualsivoglia scusa di vivere all’ Avana.
Quando conobbi Kleinn provavo pena per lui, per essere reduce da una guerra così dura, e per avere questo aspetto pallido che mi provocava profondo disgusto. Povere prostitute, pensai, però nel treno mi resi conto che mi stavo sbagliando, non veniva a caccia di donne, altrimenti se ne sarebbe rimasto all’Avana; né a comprare libretti di approvigionamento per fare collezione.
Mi disse che stava cercando un luogo appartato dove poter scrivere...neppure le sue strane abitudini, sebbene le odiassi, potevano essere una buona ragione: il suo divagare, leggere a luci spente, spuntare in corridoio senza fare rumore, il disprezzo del cibo che a volte gli offrivo, quell’aria di superiorità che sempre, a parte oggi, aveva come un accenno di aristocrazia.
Questa morte non la premeditai quando venni all’Avana. Solo poco fa mi resi conto che venivo ad ucciderlo, ero già seduto sul treno per Cienfuegos senza sapere come avevo preso il biglietto e perché avessi speso una bella cifra per comprarmi un coltello. Come se avessi cinque minuti di memoria e la rabbia mi divorasse le interiora...un inspiegabile caldo alle orecchie.
L’ idea inamovibile di farlo fuori, però non come fosse un dovere da uomo, bensì pensare di ucciderlo per finire le pulizie di casa, per impedire che tornasse a inquinare tutto con i suoi fiori, la polvere delle sue scartoffie, per non sentire più i mobili impregnati del sudore pastoso e permanente delle sue mani...Arrivare a Ciego Montero e trovarli seduti alla stazione dei treni, che sospetta coincidenza.
Vederli camminare tra gli alberi e lei, puttana, passandogli la lingua,:Ti piace?
. Certo che gli piaceva. Avevo un motivo per ucciderli però perché aspettare a che finissero? Nel momento dell’orgasmo nel quale lui ebbe la idea di dirle che aveva voglia di mangiare pane con pomodori.
Eliott Kleinn ebbe in questo mondo una morte felice, però senza motivo, perché mi eccitai a vederla sempre più abbandonata che sembrava morisse con le orbite in bianco. Non so perché successe, non lo capisco. Ana avrebbe saputo spiegarlo con la trivialità con cui risolveva tutto. Però è morta e non può chiamare stregoneria quell’istinto che mi ha portato fino a qui.
Quando c’incontrammo per caso nel treno, passammo insieme undici ore senza capire che fosse strano. La nostra conversazione si era dovuta interrompere in vari momenti per ostracismo.
Non potevo incontrare la parte sincera del suo carattere, sembrava schivo anche sugli argomenti più concitati.
Non parlava della situazione del suo Paese e immaginai fosse per la guerra. Quando gli chiesi sulla sua familia non aprì bocca. Dopo mi raccontò che il padre era cubano ma che non aveva potuto conoscerlo.
In questo modo, gli domandai delle sue radici però lui sembrò non aver capito, sebbene parlasse un perfetto spagnolo, o chissà non si lasciò andare in dettagli perché non sapeva un cazzo di Cuba, né di suo padre.
Pensai che avesse perduto la familia in tragiche circostanze e non feci più domande. Immaginavo che molti rifugiati avessero perso tutto a Sarajevo e che fosse molto duro parlarne. All’inizio sentii un po’ di pena prima di capire che tutto era più complicato.
Parlare della guerra con lui era come parlare di qualcosa che era passato da tanto tempo e molto lontano. Da un uomo con la sua cultura, scrittore, sebbene non potessi leggere neppure una pagina perché scriveva in latino, ci si sarebbe aspettato un impegno concreto con gli avvenimenti che lo circondavano, ma lui non pensava così. Come ho detto prima, non sapeva un cazzo.
Viene da così lontano per rinchiudersi tutto il giorno in queste quattro pareti di un paesino dove non conosce nessuno, invece di andarsene a Varadero o all’Avana. L’unica cosa che gli interessa è stare tra le sue scartoffie – le dissi ad Ana un pomeriggio-.
- Gli stranieri sono così, gli interessano cose alle quali uno nemmeno sa che esistono...o non lo so, magari non ha soldi, o è finocchio.
Se fosse finocchio non ti fisserebbe il culo quando cammini e ha molti soldi. Non hai visto l’orologio?
- Sì. Come con
