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Aspenia 2/2023: Troppi o troppo pochi: Stati Uniti e Cina
By AA.VV.
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Aspenia, la rivista trimestrale di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù, è stata fondata nel 1995 e, dal 2002, è pubblicata da Il Sole 24 Ore. Al numero in uscita a fine giugno “Popolazione e potere” hanno contribuito tra gli altri Claudio Descalzi, Nicholas Eberstadt, Alessandro Rosina, Gian Carlo Blangiardo, Marina Valensise, Carlo Jean, John Zogby, Pramit Pal Chaudhuri, Adam Tooze, Lapo Pistelli, Andrew Spannaus, Stefano Cingolani.
In un mondo che oggi supera gli 8 miliardi di persone torna sempre di attualità il grande dibattito:“ siamo già troppi - viste le risorse del pianeta e l’urgenza dei problemi ambientali - o siamo troppo pochi?” Il vantaggio demografico degli Stati Uniti, parte integrante della costruzione della superpotenza americana, comincia parzialmente a ridursi; mentre un vero e proprio inverno demografico investe ormai non solo i casi tradizionali di Italia e Giappone, ma anche la Cina, soppiantata dall’India come paese più popoloso al mondo, e la Russia, dove il declino delle risorse umane rafforza lo scarto esistente fra la realtà dei numeri e le illusioni imperiali di Vladimir Putin. La riduzione delle nascite riguarda ormai paesi “inattesi”, come Brasile, Messico e Thailandia. A ritmi più ridotti di un tempo, continuerà invece a crescere una parte del Medio Oriente e dell’Asia meridionale.
La nuova geografia della demografia avrà nel tempo implicazioni molto rilevanti per gli equilibri economici globali, i flussi migratori e la sostenibilità dei sistemi di welfare. Demografia e democrazia condividono ovviamente una parte dell’etimo – appunto, quello relativo al “popolo”. La condivisione è in realtà anche più profonda, perché in entrambi i settori è fondamentale il processo della quantificazione delle persone in quanto cittadini: nel primo caso a fini di conoscenza e pianificazione, nel secondo caso a fini di espressione del grado di consenso politico e costruzione di maggioranze. I sondaggi e le analisi statistiche sulla composizione dell’elettorato sono proprio il punto di incontro tra diritto di voto, istituzioni rappresentative e studio rigoroso della popolazione. Ecco allora che la demografia “classica”, quella raffigurata e quantificata dai censimenti, incontra i fenomeni globali; diventa così ancora più dinamica, incorporando i flussi migratori ma anche le influenze indirette dei mercati del lavoro e delle filiere produttive in luoghi fisicamente lontani: i grandi o perfino i piccoli squilibri nell’andamento della popolazione, delle nascite, dell’invecchiamento, degli spostamenti geografici si traducono in rapporti di potere, di scambio, di competizione e cooperazione.
Una fotografia globale sulle politiche per la natalità offre un quadro “misto”: l’ultimo rapporto ONU sul tema (“World Population Policies 2021 – Policies related to fertility”) sottolinea che una maggioranza di paesi sta tuttora puntando a ridurre i tassi di crescita della popolazione, ma il numero di governi che tentano di aumentare la fertilità è triplicato dalla metà degli anni Settanta. Altri studi recenti dimostrano che è comunque difficile invertire le tendenze in atto, come indicano in particolare i casi (con i tassi di natalità tra i più bassi al mondo) di Giappone e Corea del Sud, a fronte di grandi risorse investite per incentivare le nascite. Il punto è che davvero non ci sono ricette demografiche buone per tutte le stagioni, per tutti i luoghi e per tutti i livelli di benessere: molto, moltissimo, dipende dal contesto economico e istituzionale. Nelle quindici principali economie del mondo, per livello di PIL, il tasso di fecondità è oggi inferiore al tasso di sostituzione. Questo pattern include Cina e India, che assommano più di un terzo della popolazione mondiale. Ne risulteranno difficoltà evidenti per le nuove generazioni, in un mondo in cui la quota di popolazione anziana aumenterà progressivamente. Sviluppo economico e riduzione della fecondità si sono spesso combinati: q
In un mondo che oggi supera gli 8 miliardi di persone torna sempre di attualità il grande dibattito:“ siamo già troppi - viste le risorse del pianeta e l’urgenza dei problemi ambientali - o siamo troppo pochi?” Il vantaggio demografico degli Stati Uniti, parte integrante della costruzione della superpotenza americana, comincia parzialmente a ridursi; mentre un vero e proprio inverno demografico investe ormai non solo i casi tradizionali di Italia e Giappone, ma anche la Cina, soppiantata dall’India come paese più popoloso al mondo, e la Russia, dove il declino delle risorse umane rafforza lo scarto esistente fra la realtà dei numeri e le illusioni imperiali di Vladimir Putin. La riduzione delle nascite riguarda ormai paesi “inattesi”, come Brasile, Messico e Thailandia. A ritmi più ridotti di un tempo, continuerà invece a crescere una parte del Medio Oriente e dell’Asia meridionale.
La nuova geografia della demografia avrà nel tempo implicazioni molto rilevanti per gli equilibri economici globali, i flussi migratori e la sostenibilità dei sistemi di welfare. Demografia e democrazia condividono ovviamente una parte dell’etimo – appunto, quello relativo al “popolo”. La condivisione è in realtà anche più profonda, perché in entrambi i settori è fondamentale il processo della quantificazione delle persone in quanto cittadini: nel primo caso a fini di conoscenza e pianificazione, nel secondo caso a fini di espressione del grado di consenso politico e costruzione di maggioranze. I sondaggi e le analisi statistiche sulla composizione dell’elettorato sono proprio il punto di incontro tra diritto di voto, istituzioni rappresentative e studio rigoroso della popolazione. Ecco allora che la demografia “classica”, quella raffigurata e quantificata dai censimenti, incontra i fenomeni globali; diventa così ancora più dinamica, incorporando i flussi migratori ma anche le influenze indirette dei mercati del lavoro e delle filiere produttive in luoghi fisicamente lontani: i grandi o perfino i piccoli squilibri nell’andamento della popolazione, delle nascite, dell’invecchiamento, degli spostamenti geografici si traducono in rapporti di potere, di scambio, di competizione e cooperazione.
Una fotografia globale sulle politiche per la natalità offre un quadro “misto”: l’ultimo rapporto ONU sul tema (“World Population Policies 2021 – Policies related to fertility”) sottolinea che una maggioranza di paesi sta tuttora puntando a ridurre i tassi di crescita della popolazione, ma il numero di governi che tentano di aumentare la fertilità è triplicato dalla metà degli anni Settanta. Altri studi recenti dimostrano che è comunque difficile invertire le tendenze in atto, come indicano in particolare i casi (con i tassi di natalità tra i più bassi al mondo) di Giappone e Corea del Sud, a fronte di grandi risorse investite per incentivare le nascite. Il punto è che davvero non ci sono ricette demografiche buone per tutte le stagioni, per tutti i luoghi e per tutti i livelli di benessere: molto, moltissimo, dipende dal contesto economico e istituzionale. Nelle quindici principali economie del mondo, per livello di PIL, il tasso di fecondità è oggi inferiore al tasso di sostituzione. Questo pattern include Cina e India, che assommano più di un terzo della popolazione mondiale. Ne risulteranno difficoltà evidenti per le nuove generazioni, in un mondo in cui la quota di popolazione anziana aumenterà progressivamente. Sviluppo economico e riduzione della fecondità si sono spesso combinati: q
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