Il Fabbro Nero
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Sarà John, l'amico di suo padre, a guidarlo in un mondo sconosciuto. Lui gli insegnerà a combattere e gli rivelerà l'esistenza di tre spade leggendarie, capaci di dare a chi le maneggia dei poteri impensabili e gravose responsabilità. Possibile che il suo destino sia quello di impugnare una di quelle spade? Ma esiste realmente il destino oppure tutto è collegato a eventi remoti che lui ignora?
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Book preview
Il Fabbro Nero - Cristiano Cantelli
Cristiano Cantelli
Il Fabbro Nero
ISBN: 9791220254472
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Indice dei contenuti
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Epilogo
Quest'opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/.
ISBN 9788829581351
Mappa
immagine 11
Alzò lo sguardo verso il cielo sereno e si asciugò la fronte dal sudore che continuava a comparire incessantemente da almeno un paio di ore. La primavera era ormai giunta alla fine e l’estate iniziava a scaldare le giornate.
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Jake sollevò una mano per scusarsi, dopodiché impugnò nuovamente la vanga e tornò a infilzare la terra con vigore. Imprecò a denti stretti a causa del caldo e della fatica. Odiava quel lavoro e, più che mai, odiava il suo datore di lavoro. Era un uomo calvo, basso e anziano che guardava il prossimo con disprezzo. Lo pagava ben poco per vangare il suo campo e, nonostante questo, pretendeva un lavoro perfetto.
Jake lavorava per lui da ormai tre anni, da quando le sue braccia riuscivano a reggere il peso dello strumento. Aveva sedici anni, ma li dimostrava di più. Il suo fisico si era plasmato a causa dei più disparati lavori che Ket, l’uomo vecchio e calvo che adesso gli urlava di vangare la terra più velocemente, gli aveva fatto fare. Adesso aveva le spalle larghe e delle braccia che facevano invidia a tutti i suoi coetanei.
Si fermò nuovamente dopo un’altra mezz’ora di lavoro incessante e si passò una mano tra i mossi capelli neri, sentendo le dita bagnarsi di sudore. Sbuffò e si tolse la maglia. Riprese a lavorare prima che Ket gli urlasse di farlo.
Continuò fino all’ora di pranzo, quando il sole fu alto nel cielo sereno. Salutò il suo datore di lavoro, che rispose con un cenno della testa, e si allontanò dal campo. Si diresse verso il centro di Malla, il piccolo villaggio in cui abitava. Avrebbe comprato qualcosa da mangiare in uno dei tanti banchetti che i suoi compaesani erano soliti allestire nella piccola piazza principale, che poi piazza
era un termine fin troppo generoso per quello spiazzo di terra infestato da erbacce e cespugli. Il suo stomaco brontolò per tutto il tragitto.
Finalmente arrivò a destinazione e si fermò di fronte al banchetto di una anziana signora. La donna sapeva già cosa avrebbe comprato il ragazzo, così gli porse il pranzo: carne secca e due fette di pane. Jake ringraziò e si allontanò a passo lento, addentando il suo pranzo.
Continuò a camminare in silenzio, gustandosi il pasto e allontanandosi sempre di più dal centro di Malla. Lui e suo padre abitavano ben lontani dalla piazza in cui era appena stato e Jake impiegava quasi un quarto d’ora a piedi per compiere l’intero tragitto che collegava la loro casa al centro del villaggio. Suo padre, Altor, non amava molto le persone, preferiva vivere in disparte e al chiuso. Infatti, non usciva spesso e passava la maggior parte del suo tempo su libri e pergamene, scrivendo e leggendo chissà cosa. Jake non aveva mai scoperto cosa studiasse così assiduamente e ormai iniziava anche a essere scocciato da tale situazione: suo padre non lavorava e quindi lui doveva portare a casa abbastanza denaro per entrambi.
Superò l’ultima casa di Malla e continuò a seguire l’esile sentiero che saliva in cima a una dolce collina che dominava il villaggio. Proprio sulla sua estremità sorgeva la loro dimora: una piccola casa di legno, il cui spazio interno era per lo più dedicato alla sala che si poteva raggiungere dopo aver superato la soglia d’ingresso e in cui suo padre aveva stabilito la sua postazione di studio.
Arrivò in cima alla collina sudato dalla testa ai piedi. Mise in bocca l’ultimo boccone e si voltò a osservare Malla. L’abitato sorgeva alla base della collina, circondato da campi coltivati e qualche esile alberello solitario che sembrava fare la guardia al piccolo villaggio sperduto. Molte persone del regno di Xamaras probabilmente non erano neanche a conoscenza dell’esistenza di Malla, e forse era meglio così. Non erano molti i viandanti che passavano da quelle parti e così gli abitanti del villaggio vivevano una vita tranquilla e pacifica, anche se quasi completamente isolati dal resto del mondo e ignoranti riguardo la maggior parte delle notizie provenienti da esso.
Il sole continuava a picchiare con forza e quindi si decise a voltarsi verso la sua dimora e riprendere a camminare in direzione di essa. Arrivò alla porta e la aprì. Questa scivolò sui cardini con un lieve cigolio e si fermò quando incontrò la parete di legno. La stanza che aveva di fronte era la più ampia della casa ed era debolmente illuminata dalle finestre che suo padre lasciava socchiuse. Altor, infatti, amava leggere alla luce soffusa di una candela, così da avere meno distrazioni. Una finestra aperta attira sempre lo sguardo degli inquilini
era solito dire.
Alla sua destra vi era un tavolo circondato da sedie di legno, quasi all’estremità del locale, così che il sole potesse illuminare i loro pasti attraverso una piccola finestrella. Vi era poi un ampio focolare alla sua sinistra e la parete di fondo era occupata da un grande mobile ricolmo di libri e utensili vari. Un esile corridoio conduceva alle altre stanze della casa, tra cui la piccola cucina e le camere da letto.
Suo padre si trovava a pochi metri da lui, immerso nella lettura di una pergamena dall’aspetto vecchio e malandato. Era seduto alla sua tanto amata scrivania e una piccola candela era alla base di una fiammella danzante. L’uomo alzò la testa e lo guardò con occhi stanchi. <<È già ora di pranzo?>> domandò.
Jake annuì. Chiuse la porta d’ingresso e aprì la finestra più vicina, inondando la stanza di luce.
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Non aveva mai conosciuto sua madre, Yuma, la quale era morta dandolo alla luce. Suo padre l’aveva sempre descritta come la donna più bella del regno: capelli corvini, occhi azzurri, alta e slanciata, con un fisico che avrebbe fatto invidia a tutte le dame alla corte del re.
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Altor alzò nuovamente la testa e lasciò cadere la pergamena sulla scrivania di legno. Si stropicciò gli occhi con fare stanco. <
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Jake sospirò con fare disperato. <
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Guardò suo padre perplesso, sembrava quasi che lo stesse prendendo in giro.
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Jake si voltò e si diresse alla porta d’ingresso. Aprì lentamente. Un uomo si trovava oltre la soglia. Era alto e ben piazzato, nonostante fosse sulla quarantina. Aveva i capelli brizzolati, come la barba incolta, tagliati corti e non molto ordinati. Le sue sopracciglia erano cespugliose e facevano ombra su due occhi di un azzurro intenso. Una cicatrice gli percorreva in orizzontale gran parte della fronte. Indossava un lungo mantello da viaggio, logoro e scuro, un paio di braghe nere, stivali e una giubba imbottita. Alla sua cintura era fissato saldamente il fodero di una spada dal pomo scintillante.
L’uomo sorrise nel vederlo.
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Jake rise di gusto, non riusciva davvero a immaginarsi John intento a rendere bella un’aiuola. Era un uomo atletico e dedicava tutto se stesso al suo lavoro, cercando di essere sempre il migliore. Era decisamente ligio al dovere.
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Salutarono Altor e uscirono all’aria aperta. Insieme imboccarono il piccolo sentiero che conduceva verso il centro cittadino.
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L’uomo lo guardò con espressione seria. <
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Continuarono a camminare per qualche altro minuto, fino a quando le loro strade non si divisero. Jake si diresse verso il campo del vecchio Ket, mentre John verso il centro cittadino. I due si salutarono e l’uomo gli disse che sarebbe immediatamente tornato da suo padre e poi avrebbe cenato alla locanda, quindi si sarebbero visti l’indomani.
Jake arrivò al campo in cui era solito lavorare in quei giorni con la speranza che John potesse far desistere suo padre dal passare tutta la sua vita su libri e pergamene. Aveva sempre sentito la mancanza di un po’ di tempo passato con il suo genitore, come facevano molti ragazzi della sua età. Sapeva che, se non fosse stato per qualcosa di estremamente importante, suo padre non avrebbe mai trascorso tutto quel tempo a studiare ma, in ogni caso, non poteva che sentirsi irritato dal suo comportamento nei suoi riguardi.
Il vecchio Ket lo accolse con il suo solito sorriso beffardo e gli intimò di iniziare immediatamente a lavorare altrimenti non avrebbe preso la sua paga giornaliera. Jake imprecò sottovoce e impugnò nuovamente il suo badile. Iniziò a lavorare la terra mentre il suo datore di lavoro si occupava di far pascolare alcuni animali che possedeva, ovviamente senza smettere di osservarlo. Sapeva che quell’uomo non vedeva l’ora di criticare il suo lavoro e avrebbe sfruttato la prima occasione valida per farlo.
Jake lavorò con attenzione tutto il pomeriggio, concedendosi ben poche pause. Il sole continuò a mandare calore incessantemente e nessuna nuvola sembrava avere il coraggio di fermarlo. Sudò copiosamente quel giorno e alla fine si ritrovò completamente fradicio.
Salutò il vecchio Ket con un gesto della mano a fine giornata, quando ormai il sole era sul limitare dell’orizzonte.
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Jake non rispose alla provocazione, lui era sempre stato puntuale. Si allontanò così dal campo e dal suo datore di lavoro che tanto disprezzava ma che gli consentiva di mandare avanti la famiglia, visto che suo padre sembrava non essere intenzionato a trovarsi un vero lavoro.
Tornò in centro e si fermò nella grande piazza di Malla. Osservò a lungo i pochi banchetti che ancora vendevano qualcosa e alla fine comperò della verdura, così da preparare un ottimo stufato per cena. Suo padre era sì uno studioso, ma anche un ottimo cuoco. Si chiese se avrebbe incontrato John durante il suo tragitto verso casa, in tal caso avrebbe potuto invitarlo a mangiare con loro.
Abbandonò la piazza quando ormai il cielo era scuro e le prime stelle avevano ormai preso il posto del sole. La luna era nascosta chissà dove in quel momento. Percorse il piccolo sentiero che conduceva alla collina dalla cui cima si poteva osservare l’intero villaggio. Iniziò la salita con passo deciso, quando qualcosa lo fece fermare. Alcuni rumori provenivano dalla sommità del colle, suoni metallici e altri molto più cupi. Alzò la testa, nella speranza di scorgere qualcosa o qualcuno, ma non vide nessuno.
Papà
, fu il pensiero che lo spinse a correre. Scattò in avanti, cercando di non farsi intimorire dalla salita e lasciando cadere a terra tutta la verdura che aveva comprato.
Corse a perdifiato e arrivò in cima più sudato di quanto già non fosse. Si fermò un istante a riprendere fiato, le gambe che gli bruciavano a causa dello sforzo compiuto. La sua casa era proprio di fronte a lui, la porta d’ingresso era stata distrutta e molti pezzi di legno giacevano sparsi a terra. In quel momento si rese conto di non essere solo: due o tre figure scure stavano entrando nella sua dimora. I loro movimenti erano accompagnati da leggeri suoni metallici, segno che indossavano delle armature.
All’improvviso un urlo, proveniente dall’edificio, squarciò il silenzio della notte. Ebbe un tuffo al cuore e le sue gambe vacillarono. Era stato suo padre a gridare.
2
Scattò in direzione della sua casa, consapevole che l’urlo che aveva appena udito era stato prodotto da suo padre. Aveva il cuore in gola, ma la preoccupazione e la paura non erano gli unici sentimenti che stava provando: la rabbia stava iniziando a mescolarsi a essi, generando un vortice confuso di sensazioni.
Arrivò di fronte alla casa e non si fermò, incurante del fatto che potevano esserci altre persone nei paraggi. Entrò nell’edificio e superò i due individui che lo avevano preceduto. Di loro vide soltanto le armature scintillanti, le cappe rosse che indossavano e le spade sguainate.
Il salotto era completamente al buio, le finestre erano chiuse e soltanto una candela, situata sulla scrivania di suo padre, cercava inutilmente di illuminare il locale con la sua luce tremolante e tenue. Abbassò lo sguardo con incertezza e vide Altor a terra, uno squarcio era aperto sul suo petto e da esso scaturiva una gran quantità di sangue. La camicia che indossava era ormai completamente rossa e le prime gocce cremisi stavano raggiungendo il pavimento. L’uomo era seduto, una mano sulla ferita e l’altra appoggiata al pavimento.
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Si sentì improvvisamente trattenere per la maglia: qualcuno lo aveva afferrato alle spalle. Si voltò di scatto e cercò di colpire la persona che lo aveva bloccato, ma non fece in tempo e un pugno lo centrò nello stomaco, lasciandolo senza fiato. Fu allora che l’altro individuo lo colpì con un calcio al volto, mandandolo a terra. Rotolò un paio di volte, prima di fermarsi. Lo zigomo destro gli doleva da morire e l’aria sembrava non voler tornare a riempire i suoi polmoni.
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Altor abbassò lo sguardo e imprecò a denti stretti. In quel momento il braccio che sorreggeva il suo peso sembrò non reggere e lui cadde sdraiato a terra.
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Altor stava finendo le energie, rischiava di morire da un momento all’altro. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ma la sua mente sembrava essersi bloccata e non riusciva a partorire nessun piano, neppure una singola idea capace di aiutarlo in una situazione tanto drammatica. Si sentì debole, inutile, un verme.
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Forse tutto quello che stava accadendo aveva a che fare con le ricerche di suo padre. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse studiando, ma quei due individui non lo sapevano di certo. Doveva mentire, così che forse avrebbero fatto curare Altor. Magari, con un po’ di fortuna, si sarebbero imbattuti in John lungo la via, e lui sicuramente sarebbe stato capace di aiutarli.
<spada>> asserì uno dei due assalitori.
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Colpì l’assassino con una spallata, mandandolo a terra, poi si accasciò accanto a suo padre e gli sollevò la testa. I loro occhi s’incontrarono. Lo sguardo di Altor si era fatto vacuo e dalla sua bocca usciva un rivolo di sangue. La sua maglia si era ormai tinta di rosso e sul pavimento si andava allargando un lago cremisi.
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Si alzò in piedi e guardò i due intrusi in casa sua. L’assassino di suo padre si era rialzato ed entrambi adesso lo osservavano con sguardi beffardi e le spade in pugno.
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Improvvisamente percepì la presenza di qualcuno o qualcosa nella stanza, come se si fosse materializzato dal nulla. Fu una sensazione strana, come se il suo cervello sapesse che un oggetto sconosciuto si trovasse appena dietro di lui, proprio dove vi era la scrivania di suo padre. Quella sensazione si fece sempre più forte, fino a quando non si voltò per vedere di cosa si trattasse. La scrivania scricchiolò rumorosamente. Poi delle fessure si formarono nel legno e da esse iniziò a scaturire dell’intensa luce bianca. Il rumore del legno che si spacca accompagnò un lampo che illuminò a giorno tutta la casa. Un oggetto scuro si sollevò dalla scrivania di suo padre, o ciò che ne rimaneva, e volò verso di lui. D’istinto lo afferrò al volo.
La luce si affievolì velocemente e lui si rese conto di stringere tra le mani una spada dalla lama candida come il latte. L’impugnatura era morbida e la guardia argentata era tempestata di gemme azzurre e brillanti. Il pomo era a forma di testa di leone.
Nonostante lo stupore iniziale, non soltanto suo ma anche dei due individui che avevano invaso la sua dimora, afferrò l’arma con entrambe le mani e si preparò a combattere. Non si chiese da dove fosse arrivata quella spada, né perché fosse nella scrivania di suo padre; l’unica cosa che gli importava era compiere la vendetta che tanto desiderava. Non aveva mai combattuto, ma sapeva di possedere molta forza, grazie al duro lavoro che da anni compieva, e che avrebbe duellato senza preoccuparsi della sua vita. Sarebbe morto pur di vendicare suo padre.
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<<È un Guardiano! Nessuno ci aveva detto che avremmo incontrato un Guardiano.>>
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Il nemico gli corse incontro, urlando e mulinando la spada. Tentò di colpire Jake con un fendente, ma lui riuscì a muovere l’arma abbastanza in fretta da pararsi. In quel frangente si rese conto di quanto leggera fosse la spada che stringeva in pugno, doveva essere un’arma di una fattura particolarmente pregiata.
Si allontanò di qualche passo dall’avversario e attese che uno dei due uomini si facesse nuovamente avanti. Questa volta lo attaccarono insieme. Jake schivò un fendete e parò un affondo, poi fu ferito alla spalla destra da una sferzata orizzontale. Indietreggiò di qualche passo, imprecando. Per fortuna si trattava di una ferita superficiale.
Doveva reagire, non poteva limitarsi a parare o schivare gli attacchi nemici. Così corse incontro agli avversari e cercò di colpirli con un montante. La sua lama sferzò l’aria velocissima, ma non fu abbastanza rapida. L’attacco andò a vuoto e uno dei due uomini lo colpì con una spallata, mandandolo a rovinare a terra proprio accanto al cadavere di suo padre.
Non sono capace neanche di vendicarti
pensò alla vista di Altor riverso a terra.
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Entrambi sollevarono le proprie armi macchiate di sangue pronti ad uccidere.
In quel momento, l’uomo alla sua destra si fermò, lo sguardo perso nel vuoto e l’arma immobile a mezz’aria. La punta di una spada era improvvisamente comparsa dal suo petto. L’uomo emise un gemito, prima di cadere a terra. Dietro di lui si ergeva John, con uno sguardo che Jake non aveva mai visto: serio, calcolatore, rabbioso. Sembrava essere diventato un’altra persona, una macchina per uccidere.
L’altro soldato si accorse di ciò che era avvenuto al suo compagno e si voltò verso il nuovo nemico.
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Cercò di infilzarlo con un affondo ma John schivò l’attacco e, sferzando l’aria da destra a sinistra con la sua spada, aprì un sorriso nella gola dell’uomo. Costui cadde a terra, gorgogliando e sputando sangue dalla bocca.
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<> Jake sentì le lacrime tornare a bagnargli gli occhi.
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Jake annuì, dubbioso. <
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In quel momento Jake si rese conto che la spada dell’amico sembrava la gemella della sua. Erano identiche, con l’unica differenza che essa aveva una lama rossa come il sangue.
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Jake lo seguì, spada in pugno. Rivolse solo un ultimo sguardo a suo padre e una nuova fitta al cuore lo travolse. Il dolore per aver perso l’unica persona che amava sembrava troppo forte da combattere. Tornò a guardare di fronte a sé, gli occhi umidi e la mano serrata attorno a quella che John aveva chiamato Spada Bianca.
Uscirono all’aperto. L’aria era calda e calma, non un alito di vento soffiava quella notte. John si era fermato a pochi metri di distanza, così lo raggiunse e lo affiancò. Anche lui rimase paralizzato da ciò che vide: una figura scura si stagliava di fronte a loro. Era un vero colosso e la sua armatura nera a malapena rifletteva la luce della luna. La forma della sua corazza non era ben distinguibile nell’oscurità, ma i suoi contorni erano frastagliati, come se migliaia di corni gli spuntassero dalle spalle e dagli avambracci. Un elmo gigantesco gli ricopriva completamente il volto e in cima terminava in un qualcosa di simile a una corona di spine. Il suo respirare rimbombava ed era l’unico rumore udibile nei paraggi. Sembrava un toro pronto a caricare il nemico.
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<< Azil.>>
3
Jake continuò a fissare il colosso che avevano di fronte, era quasi ipnotico. Si stagliava scuro contro il cielo stellato. Dietro di lui si potevano scorgere soltanto qualche cespuglio e un albero solitario. Era un’immagine terrificante.
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<< Mekor non avrà mai le nostre spade. Non ci arrenderemo mai di fronte a lui, a differenza di ciò che tu hai fatto>> rispose John con voce decisa, nascondendo molto bene la preoccupazione che Jake gli aveva letto in volto fino a quel momento.
<Guardiano Rosso, non potete niente contro la potenza del mio signore.>>
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Azil abbassò la mano con cui avrebbe voluto stringere le spade dei due che aveva di fronte, mentre con l’altra sguainò l’immane spadone che portava appeso sulla schiena. L’arma era immensa e doveva pesare tantissimo. Jake si chiese come facesse quell’uomo a padroneggiarlo con tanta disinvoltura.
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Il nemico s’incamminò nella loro direzione con passo pesante, accompagnato da suoni metallici. Una volta che fu vicino, Jake si rese conto di quanto timore potesse incutere la figura del nemico sui suoi sfidanti: visto da quella distanza sembrava un vero gigante e la sua armatura dall’aspetto terrificante lo rendeva un mostro. Sembrava che l’uomo fosse un tutt’uno con la sua corazza. L’unica cosa che stonava nelle sue forme grezze e minacciose era una piccola gemma scura situata nell’elmo, all’altezza della fronte. Ad un’armatura normale le avrebbe conferito un che di regale e sfarzoso, ma non su quella.
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Il nemico sollevò lo spadone in aria e lo fece calare con forza su John, che saltò di lato ed evitò l’offensiva avversaria. L’immensa lama colpì il suolo con un rumore sordo e sprofondò di quasi un centimetro nel terreno. Jake fece qualche passo indietro, cercando di non restare coinvolto nello scontro. Avrebbe voluto aiutare John ma non aveva mai combattuto fino ad allora e sapeva che gli sarebbe stato solamente d’impaccio.
Azil sollevò lo spadone da terra con una facilità impressionante e riuscì a pararsi senza problemi da un affondo del Guardiano Rosso. John non si demoralizzò e cercò di colpire il nemico da ogni possibile angolazione, facendo mulinare la spada con una velocità impressionante. Il nemico però riuscì a parare la maggior parte degli attacchi e l’unico che andò a buon fine non riuscì a produrre più di un semplice graffio sulla sua corazza spessa.
John indietreggiò, ansimante. Si ritrovò fianco a fianco con Jake, che aveva assistito al duello a bocca aperta. Non credeva che il suo amico potesse essere così veloce con la spada.
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Potenzialità?
Si chiese che cosa avesse voluto intendere con quella frase.
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John tornò all’attacco. Il suo fendente incontrò lo spadone nemico e una scintilla luminosa si liberò dal loro impatto. Fu allora che Azil colpì l’avversario con il suo avambraccio, scagliandolo a terra. John rotolò per qualche metro e perse la presa sulla spada.
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Doveva intervenire, non poteva più starsene in disparte. Corse verso Azil, la spada sollevata a mezz’aria, ma si fermò quando vide l’arma di John muoversi da sola e volare nella mano del suo padrone. Rimase stupito e a bocca aperta. Che stregoneria era quella?
John rotolò di lato, schivando l’ennesimo attacco di Azil, la cui spada incontrò nuovamente la nuda terra. Poi direzionò la punta della lama rossa verso il viso del nemico e urlò. Una sfera fiammeggiante si liberò dalla spada e colpì Azil in pieno volto, liberando scintille e lingue infuocate in ogni direzione. Il fragore riverberò nella placida notte. Il mostro fece un passo indietro e infine cadde pesantemente in ginocchio.
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John si alzò in piedi e scattò via, dietro la casa. Lui lo seguì e insieme superarono l’edificio e continuarono a correre a perdifiato. Jake sapeva dove John fosse diretto: alla base della collina, non molto lontano dal villaggio, vi era un piccolo bosco di lecci e sicuramente avrebbero cercato rifugio al suo interno. Non si guardarono mai indietro, Jake temeva quasi a farlo, convinto che il nemico li stesse seguendo con quel suo passo pesante.
Finalmente raggiunsero la boscaglia. Superarono i primi alberi e saltarono alcuni bassi cespugli. Continuarono a correre fino a quando non furono sicuri di essere ben nascosti dalla vegetazione. Il bosco non era molto fitto ma nell’oscurità della notte sarebbe stato difficile vederli con tutti quei tronchi. Gli alberi non erano molto alti e di certo non erano imponenti, così come i bassi cespugli che punteggiavano il terreno nascosto da erba secca e foglie cadute. All’interno del bosco l’aria era più fresca e umida, si stava decisamente meglio. I suoni degli animali erano gli unici a fare loro compagnia.
Jake si guardò attorno, quasi frastornato da tutto ciò che era accaduto: suo padre era morto e lui era fuggito con John da un vero mostro. Rabbia, frustrazione, paura e tristezza gli attanagliarono le viscere contemporaneamente. Strinse forte la spada, sentendo il palmo della mano bruciare, e la puntò verso John. <
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Jake si sedette di fronte all’uomo, pronto a sentire le risposte alle tante domande che ancora vagavano per la sua mente.
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