
I tre uomini che avanzano nella strada deserta sono gli stessi che hanno tentato di abbattere la porta della casa di Irene e Severo qualche giorno prima. Camminano con il passo deciso di chi sa bene dove sta andando e l’atteggiamento, sospettosamente sprezzante, di chi sta per compiere un crimine della peggior specie. All’arrivo all’angolo dell’edificio dove sta aspettando Irene, si fermano per controllare che il numero della casa sia quello che hanno segnato su un pezzo di carta.
«State all’erta e non fate stupidaggini, ricordatevi di non dire “gatto” finché non l’avete nel sacco!» dice il capo, un giovane con la voce roca per colpa del tabacco. «Passiamo per la via dietro al palazzo, ci dovrebbe essere una finestra o una via d’accesso che ci serva per entrare. Non possiamo fallire! Andiamo!».
Gli altri due si scambiano un cenno d’assenso e iniziano a percorrere la facciata laterale per cercare una via che serva loro per raggiungere la moglie di Severo Santacruz. Il capo rimane solo a pochi metri di distanza dietro di loro; non appena girano l’angolo, si rendono conto che la strada è vuota.
«Che strano» biascica il capo, «questo silenzio non mi dà una buona sensazione. Non è tutto troppo tranquillo per quest’ora della sera?».
Prima che le canaglie possano reagire e lui riesca proferire un’altra parola si trovano circondati. Non solo gli sono addosso Severo, Lucas e Carmelo ma anche un’unità dei Corpi d’assalto, che il dottor Moliner è riuscito a convocare grazie ai suoi contatti nel governo, e che ora hanno le armi puntate su di loro.

«Fermi, mani in alto! Non muovetevi o spariamo! Siete in arresto!».
I tre sono coscienti, dal