La nuova vita dei miranar

Questa scala ha bisogno di una riparazione» afferma Tiburcio superando l’ultimo tratto di « scalini che danno accesso all’ingresso del magazzino. «Bisogna chiamare il falegname perché rinforzi la struttura».
Hipolito giunge un secondo dopo, portando sulle spalle un sacco di iuta che deposita accanto a quello che ha appena lasciato il marito di sua madre. Fa un cenno d’assenso: non che non si trovi d’accordo. Lui stesso ha sentito la sinfonia di rumori che il legno produce a ogni passo mentre camminava avanti e indietro portando i seicento chilogrammi di legumi che ora rimarranno immagazzinati qui. Se non dice nulla è perché gli manca l’aria. Respira. Respira. Torna a respirare. Tarda ancora qualche istante prima di poter prendere la parola.
«Non ce la faccio più Tiburcio, per oggi basta così». Hipolito non sta scherzando: le braccia pesano come se non fossero più sue e le fitte di dolore alle spalle iniziano a essere insopportabili. Questi primi giorni facendosi carico del magazzino di compravendita di frutta, verdura e legumi sono stati sfiancanti, con giornate intere al sole e a tutto questo si aggiunge la stanchezza accumulata.

«Hai ragione» risponde il forzuto, «andiamo a prendere tua madre e torniamo a casa a cenare. Domani sarà un altro giorno».
Hipolito e Tiburcio scendono percorrendo la scalinata traballante. Questa volta nessuno dei due dice nulla quando gli scalini si rimettono a scricchiolare mentre li calpestano. Non aprono la bocca nemmeno quando attraversano lo spiazzo che separa il magazzino dal piccolo ufficio vicino all’entrata dove Dolores organizza notule, fatture e ordini come Hipolito ha chiesto di fare. Sono così affaticati che non proferiscono verbo, ma entrambi non nascondono un sorriso quando la matriarca esce per andar loro incontro e chiude la porta di legno con una chiave dirigendosi verso l’appartamento,
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